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Australian Open: Djokovic schiaccia tutti i pesi leggeri e medi. Tsitsipas sarà il primo mediomassimo? Rublev? “Un Pitbull stressato”-

Una settimana fa Novak Djokovic sembrava seriamente infortunato. Ma dopo averlo visto lasciare appena sei game negli ottavi di finale all’australiano Alex De Minaur e sette game nei quarti al malcapitato russo Andrey Rublev, sconfitto 61 62 64, nessuno può dubitare, e neppure lui stesso, del fatto che stia benissimo ed è il grande favorito di un torneo che ha vinto già 9 volte e in cui il rivale più temibile appare essere Stefanos Tsitsipas in una probabilissima finale. Ma lui ha battuto Stefanos 10 volte su 12. E se per caso Khachanov battesse Tsitsipas il bilancio dei duelli diretti è ancor più netto: 8-1. Quell’unica volta in cui il russo prevalse sul serbo fu in occasione della finale di Bercy 2018, quando Khachanov conquistò – ad oggi – il suo unico Masters 1000. Il modo in cui Djokovic ha surclassato Rublev in 2 ore e 5 minuti è ancora più impressionante di quello con il quale aveva lasciato un game in meno a de Minaur. Sì, perché de Minaur è un peso leggero, Rublev è almeno un peso medio. De Minaur corre più veloce di tanti, recupera tanto e anticipa quando può, ma non fa quasi mai male. Il dritto di Rublev invece è diretto da peso mediomassimo, è tanta roba. Ma Djokovic, che Gianni Clerici avrebbe descritto come “uno scheletro magro” assimilandolo al “vampiro del Bonacossa” Fausto Gardini, non sembrerebbe poter aver punch da peso massimo e ha dimostrato di non temere i “diretti” di Rublev, schivando quelli e le sole cinque pallebreak conquistate dal russo come faceva il miglior Muhammad Alì contro Joe Frazier. E alla fine, quando l’altro appariva sempre più rassegnato, scoraggiato, lo ha letteralmente demolito. Così il povero Rublev a digiuno di break è rimasto anche a digiuno di semifinali. Per la settima volta è finito k.o. nei quarti. E se avesse potuto il suo coach spagnolo Fernando Vicente avrebbe gettato l’asciugamano sul ring della Rod Laver Arena. Per il duo russo-ispanico deve essere stata una gran frustrazione accorgersi di un tale gap. Uno che ha vinto 13 tornei, che è stato anche n.5  del mondo e ora è n.6, uno che è top-10 da più di tre anni e prende con Novak tutte le volte – Belgrado non c’entra (Djokovic era convalescente) – stese memorabili. Due partite a Torino nelle finals, nel 2021 come nel 2022, cinque game ceduti la prima volta, cinque game persi la seconda. E Rublev ha detto: “Novak ha giocato molto meglio qua che a Torino”. Oggi, infatti, sette game solo perché i set erano tre. Ma come si spiega un simile gap? Non ci sarà qualcosa anche di psicologico? Beh, di nervi Andrey non è solidissimo. Vive il tennis con amore sconfinato, ma anche come una magnifica ossessione. Può essere magnifica un’ossessione? Nel suo caso sì, perché Andrey – che il suo coach ha soprannominato “Pitbull stessato” – racconta di essersi così appassionato al tennis che all’età di sei anni se gli toccava di saltare un giorno di allenamento per via della scuola si disperava e piangeva. Lui stesso dice: “Il tennis per me è come avere sempre una pistola sulla tempia”. Però non lo vive come un incubo, anzi. Lo ama talmente che, a sentire ancora Vicente: “Se gli offrissero 100 milioni di euro per smettere di giocare lui li rifiuterebbe” e aggiunge che è impossibile fargli prendere una settimana di vacanze.  Rublev ha confessato: “Le mie sole giornate di riposo sono quando prendo un aereo”. Quando nel 2018 Rublev fu costretto a fermarsi per 3 mesi per un problema alla schiena, soffrì come un cane ammalato. La sua mamma, Marina Marenko ha detto: “Se qualcosa lo ferma è una tragedia, la stessa che avverte un pittore che non può dipingere. Ad Andrey basta poco per cadere in momenti di depressione”. E Rublev un paio d’anni fa guardava con una punta di invidia il suo vecchio compare Daniil Medvedev insieme al quale è praticamente cresciuto: “Vorrei riuscire a seguire l’esempio di Daniil, anche lui era pazzerello come me a volte, poteva perdere la testa, era super-emotivo, ma poi lui è riuscito a cambiare e io no, o almeno non tanto”. Beh, chissà se adesso Andrey ha cambiato idea. Lui è sempre top-ten. Daniil invece ne è uscito dopo un 2022 assai negativo. Vero però che Daniil ha vinto uno US Open, è stato finalista in due Australian Open, ha vinto le finali ATP ed è stato n.1 del mondo. Un palmares ben diverso. “Voglio talmente vincere che spesso non riesco a controllare le mie emozioni e sono capace di far di tutto – dice la vittima di DjokerNole – Prima di un match credo di aver tutto sotto controllo, di essere sul binario giusto, ma poi invece deraglio! Il match mi stressa troppo… Ma sono sempre stato così, anche da ragazzino mi prefiggevo sfide folli… per esempio nel basket riuscire a fare dieci canestri con i tiri liberi. Potevo passare una intera giornata, piangere, soppesare il pallone mille volte, ma non smettevo di provarci finchè ci riuscivo.” E quando è in campo, ancora oggi, è capace di ripetersi mille volte – come ha raccontato al collega dell’Équipe Romain Lefevre: “Dai, vinci questo punto, se lo vinci vincerai la partita! Devi farcela, devi farcela! Se poi non lo vinco diventa un disastro. Non riesco a nasconderlo. E’ come se acquisti l’ultimo iPhone e lo fai cadere. Ce l’avevi e non ce l’hai più. Lì, il match, l’avevo quasi in pugno e mi scivola via fra le dita”. Vicente ricorda in particolare un match del Roland Garros contro Fucsovics, vinto ma colto dal panico: “Si era talmente innervosito che per 3 o 4 volte ha preso per sbaglio l’asciugamano del suo avversario! E poi non si è neppure accorto che c’era un cambio dei raccattapalle e ha cominciato a servire mentre quei ragazzi stavano correndo a bordo campo! E certe volte è così nervoso che al cambio campo non vorrebbe nemmeno sedersi, vorrebbe accelerare la disputa del game successivo”. Io posso dire che è un ragazzo gentile, educato, certamente timido. Nelle prime interviste guardava sempre in basso sul desk che gli stava davanti, con i capelli rossi sugli occhi quasi volesse nascondersi. Quando però impara a conoscerti e capisce che non vuoi metterlo in difficoltà, allora sorride ancor prima che tu gli faccia una domanda. L’altro giorno, quando è venuto a capo di Rune al super tiebreak dopo avergli strappato il servizio sebbene il ragazzino danese avesse servito per il match e avesse avuto anche due matchpoint e fosse poi stato in vantaggio per 5-0 6-2 e 7-3 nel tiebreak …prima che lui gli facesse l’ultimo punto con un fortunosissimo net, ha fatto un sorriso fino ai capelli: “Sotto 5-2 ho pensato che avrei perso il match, per un bel po’. E mi sono come rilassato…Invece stranamente quando lui ha avuto i matchpoint prima del tiebreak ho pensato: ora arrivo al tiebreak! L’ultimo punto? Non mi era mai accaduto nella mia vita. E’ stato il mio momento più fortunato di sempre. Non può esistere un momento migliore che ritrovarsi nei quarti di finale,10-9, rispondere sul nastro e vedere la palla che passa di là. Se oggi fossi andato al Casinò, lo avrei sbancato! Sono stato davvero fortunato, in modo incredibile”. Ma quando lo si incontra un ragazzo così, spontaneo, in mezzo a tanti montati super egocentrici? Ha vinto Djokovic, bravo Djokovic. Come sempre. Batterlo sembra quasi impossibile. In Australia e non solo lì. Ma sarebbe tuttavia bello che ci fossero molti più Rublev nel mondo dei grandi tornei e del tennis. A questo punto sembrerebbe davvero scontata una finale Djokovic-Tsitsipas poiché il greco ha battuto 5 volte su 5 l’altro semifinalista Khachanov, anche se non lo ha mai fatto in uno Slam e in match tre set su cinque. Khacahanov russo ama autoproclamarsi “Guerriero armeno”, perchè la sua famiglia ha origini armene e l’altro giorno aveva anche espresso la sua solidarietà al popolo armeno che lotta per la propria autonomia dall’Azerbaijan, con una scritta su una telecamera subito dopo aver battuto Tiafoe e Nishioka. Io ho conosciuto Khachanov quando vinse il torneo jnior di Pasqua a Firenze e vi assicuro che si tratta di un bravissimo ragazzo, simpatico e disponibile. Diverso da Rublev, perchè più sicuro di sè, ma ugualmente ragazzo semplice, senza tanti grilli per la testa. A New York a settembre perse da Ruud in semifinale e si rese conto di aver calato di intensità nel finale di bei 20 km orari sulle prime di servizio. Ha lavorato tantissimo sulla battuta da allora, un lavoro che sta pagando. Contro Tsitsipas che gioca davanti alla sua gente non ha molto da perdere. Si vedrà se il grande lavoro cui si è sottoposto è già sufficiente a ripagarlo. Con Tiafoe lo ha fatto. Con Tsitsipas non si sa se potrà bastare.. ...

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