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In Australia monta il sentimento anti-Srdjan Djokovic, The Age: “Stia a casa anche per la finale”-

Dopo essere stato “filmato” in un’area antistante alla Rod Laver Arena assieme ad esponenti filo-putiniani, quattro membri di un ristretto cerchio tra i quali spiccava la raffigurazione del simbolo “Z” – emblema della reverenza ultranazionalista verso il Presidente russo -, Srdjan Djokovic si è stato sostanzialmente auto-confinato in Hotel decidendo, insieme al figlio Novak secondo le dichiarazioni di quest’ultimo, di non prendere parte alla semifinale del figlio dal box riservato al clan del campione serbo. Una situazione che di certo ha creato non poco imbarazzo per Nole, trovatosi costretto ad affrontare in conferenza stampa – al termine della sua decima vittoria in altrettante semifinali Down Under, contro lo statunitense Tommy Paul – una nuova polemica in territorio australiano dopo già tutto il clamore mediatico che ha dovuto sopportare la passata stagione con il proprio visto revocato e la conseguente espulsione dal Paese. Ciononostante una leggenda del calibro del 21 volte vincitore Slam sembra quasi poter acquisire da questa vicenda negativa che ha riguardato la sua famiglia, ulteriore motivazione e forza mentale nell’andare alla ricerca del suo grande obbiettivo. Perché campioni di questo livello, che hanno vinto così tanto ma che non cennano la loro sete di vittorie e nuovi traguardi da raggiungere, per poter ambire a tale capacità di rigenerarsi costantemente e ricreare così nuovi stimoli che li possano guidare verso l’ottenimento di ennesimi record devono avvertire – quasi – la necessità spasmodica di sentire il cosiddetto “Rumore dei Nemici”. Tuttavia lo spiacevole avvenimento con protagonista Djokovic Senior ha lasciato più di qualche strascico, soprattutto a Melbourne. In Australia, difatti, in queste ore sta montando con sempre maggiore vigoria mediatica quello che non è altro che un vero e proprio sentimento anti-Srdjan. Per far comprendere appieno quelli che sono gli stati d’animo del popolo australiano in seguito a questa vicenda, e che non lascia nemmeno incontaminati dal ricevere feroci critiche gli organi di sicurezza del torneo che hanno permesso l’ingresso di quella cerchia di fanatici politici anche il giorno dopo gli avvenimenti presi di mira, riportiamo alcuni stralci di un articolo pubblicato da Greg Baum, editorialista del noto quotidiano di Melbourne The Age che fa emergere pienamente e con toni decisamente forti il malcontento sulla vicenda in questione: “Ci sono almeno 11 persone che non sapranno mai che il padre di Novak Djokovic si è identificato con un gruppo di simpatizzanti russi che brandivano provocatoriamente bandiere russe all’ Australian Open, mercoledì sera. Sono gli 11 civili innocenti uccisi nell’ultimo bombardamento russo di Kiev. Ci sono migliaia di altri a Kiev che non si preoccupano particolarmente di ciò che qualcuno dall’altra parte del mondo dice o fa. Sono rannicchiati nelle stazioni ferroviarie, chiedendosi cosa fare per il cibo, l’acqua e soprattutto il riscaldamento. Era meno 3° lì, la temperatura ieri sera. Ci sono circa 40 milioni di persone per le quali Srdjan Djokovic è l’ultimo dei loro problemi. Sono ucraini e sono sotto assedio quotidiano. Questo è il contesto in cui vanno viste le azioni di Djokovic senior. L’assalto pasticciato ma sanguinoso della Russia all’Ucraina è andato avanti così a lungo che la stanchezza sta prendendo piede in Occidente. Gli ucraini implorano il mondo di non dimenticare o distrarsi. Per via della nostra distanza, è troppo facile farci prendere dalla semantica e dal simbolismo e trascurare che l’Ucraina è diventata un inferno sulla terra, inflitto dal paese a cui Djokovic senior ha prestato il proprio braccio e – inconsciamente – il peso del nome di suo figlio, famoso in tutto il mondo. Srdjan ha detto che non intendeva nuocere, ma stava semplicemente festeggiando con i fan dopo la vittoria di suo figlio. Maiali! Potrebbe non aver facilmente distinto una bandiera russa da una bandiera serba, ma avrebbe dovuto farlo. Ha detto di aver vissuto la guerra. E’ un bene. Dovrebbe sapere meglio di chiunque altro come ci si comporta per non infiammare il sentimento di guerra. Ha poi comunicato che non avrebbe partecipato alla semifinale di venerdì sera. Dopo quello che era successo, sarebbe stata una follia fare il contrario. Ma non basta. Dovrebbe anche bandirsi dalla finale e se non lo fa, Tennis Australia dovrebbe bandirlo. Il tennis professionistico ha un orologio di servizio, per ridurre al minimo le perdite di tempo. L’orologio di servizio di Tenni Australia è calibrato in anni. Dopo aver esitato tutto il giorno, ha finalmente rilasciato una dichiarazione nel tardo pomeriggio che affermava … ciò che ha aveva già detto. Continuerà a rimuovere bandiere e simboli vietati, a proteggere i tifosi, a parlare con i giocatori della necessità di non causare stress o disagi per poter continuare così la richiesta di pace nel nostro tempo. Però implicitamente ci ha anche detto, non continueremo a prendere provvedimenti contro il padre del più grande giocatore rimasto nel torneo, un nove volte vincitore qui, la figura più significativa nella storia di Melbourne Park. Traete le vostre conclusioni. Dodici mesi fa, due spettatori dell’Australian Open si erano presentati con magliette che domandavano “Dov’è Peng Shuai?“. Stavano protestando contro una sospetta violazione dei diritti umani riguardante una giocatrice cinese senza non recare alcuna offesa se non quella di violare un elenco draconiano di condizioni imposte dal torneo. Sono stati sfrattati. Associandosi ai manifestanti che brandivano bandiere russe, Djokovic senior non solo ha tacitamente infranto le stesse regole ma ha attivamente sostenuto un noto ed eclatante calpestio dei diritti umani. Eppure non ha dovuto affrontare alcuna sanzione se non quella che si autoimpone. Venerdì sera, la testa di Novak gli avrà sicuramente fatto più male del suo famigerato tendine del ginocchio. È impossibile non dispiacersi per lui. Sì, divide le persone ma in questo momento si trova diviso lui stesso tra la famiglia e la cosa giusta. Non è colpa sua, ma diventa come possedere un doppio difetto. L’intemperanza di Djokovic senior ha avuto due esiti perversi. Uno è quello di concentrare di nuovo le menti sulla guerra della Russia contro l’Ucraina. L’altro di far scaturire un dibattito ancora irrisolto in questo Paese su come affrontare l’incitamento all’odio senza violare irrimediabilmente la libertà di parola. Il vecchio Djokovic ha fomentato odio contro il bene, per se stesso, e collateralmente per suo figlio, almeno dando ad un numero considerevole di fan che non si sono mai scaldati sentendo il nome di Novak comunque un motivo in più per trattenere ancora una qualsiasi forma di affetto nei suoi confronti mentre scala altezze tennistiche prima di lui inesplorate. La finale si giocherà in ombra“. ...

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