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Allo US Open saluta anche Sock: una carriera a suon di dritti (anche nell’ultima partita di Federer) fermatasi sul più bello-

Il 20esimo anniversario del trionfo di Roddick, il ritiro di Isner e quello di Sock: è piuttosto malinconica questa edizione dello US Open, soprattutto per gli americani che non avevano certo bisogno di questi tre eventi per ricordarsi che sono ormai passate due generazioni di tennisti e il loro bottino di Slam è rimasto lo stesso. A separare Isner e Sock ci sono sette anni e, con buona approssimazione, possiamo quindi indicarli come capostipiti proprio di quelle due generazioni che non sono riuscite a rendere gli Stati Uniti “great again”. Jack si ritira a soli 31 anni, ma in realtà tra i suoi coetanei (o simil tali) quelli ancora in attività e competitivi sono pochissimi: promesse non mantenute come Donald Young e Ryan Harrison hanno infatti abbandonato i palcoscenici più importanti già da tempo. E così, a 20 anni dallo Slam di Andy, è forse giusto che gli ultimi due rappresentanti della vecchia guardia si facciano definitivamente da parte. Sia chiaro, ‘Big John’ e Jack sono tra i meno responsabili del periodo buio del tennis americano al maschile. Da loro (e da Querrey) sono infatti arrivati i risultati migliori: top 10, semifinali Slam (non per Jack), medaglie olimpiche e titoli 1000. Isner ha detto di non portarsi dietro alcun rimpianto e che non avrebbe mai immaginato di ottenere tanto: difficile dargli torto. Forse per Sock la faccenda è un po’ più complicata. Se Isner, così come Querrey, è sempre stato per tutti un “big server” in grado di togliersi qua e là qualche soddisfazione ma senza l’aspettativa che potesse invertire da solo il trend negativo del movimento, più di qualcuno, invece, sarà stato illuso da Sock e dai suoi mezzi tecnici. Il picco di illusi è stato probabilmente raggiunto a fine 2017, quando Jack vinse il 1000 di Bercy (tra l’altro dopo aver rischiato seriamente di essere eliminato da Edmund nel suo primo match) qualificandosi per le Finals di Londra. Lì continuò a lasciare segni sul campo con i suoi drittoni vincenti, superando il girone e fermandosi solo di fronte a un Grigor Dimitrov in stato di grazia anche più di lui (tanto che poi vinse il torneo). Tra il 2012 e il 2020 quello è stato l’unico anno in cui a fine stagione il numero 1 degli Stati Uniti non era Isner (mai riuscito a raggiungere la qualificazione al Master in carriera) ma proprio Sock. Da lì in avanti, però, i risultati di Jack potrebbero essere ben rappresentati da un encefalogramma prevalentemente piatto. Dal 2019, dopo aver conquistato insieme a Mike Bryan in fila Wimbledon (già vinto nel 2014 con Pospisil) e US Open nel 2018 (anno nel quale divenne numero 2 del mondo nella specialità), lo stesso discorso vale anche per il doppio. Complice anche un grave infortunio al tendine del pollice – probabilmente causato da una caduta con lo snowboard – due anni dopo essere stato numero 8 del mondo, Jack si ritrovò senza ranking. Quell’esplosione improvvisa (anche se preceduta da buoni risultati già nei mesi e nella stagione precedente) a fine 2017 è stata il punto più alto della sua carriera ma forse allo stesso tempo anche una maledizione per il suo prosieguo. Nel giro di poche settimane, il ragazzo del Nebraska si rese conto di essere all’altezza dell’élite di questo sport e di avere anche ampi margini di miglioramento: a livello tattico, fisico e anche tecnico, in particolare dal lato del rovescio – rimasto sempre il suo tallone d’Achille. Questa consapevolezza, però, lo ha probabilmente inghiottito: troppe aspettative su se stesso, accompagnate dalla pressione esterna, a fronte di una testa tutt’altro che incline alla concentrazione e alla riflessione costante. Assente all’appuntamento con la svolta per la sua carriera, più tardi Jack, quando è uscito dal giro dei “grandi”, non è più stato capace di ritrovare le motivazioni per provare a scalare nuovamente e un passo alla volta la classifica. Nelle ultime 5 stagioni ha raccolto appena 28 vittorie nel circuito maggiore con un quarto di finale a Newport come miglior risultato. Gli unici bagliori di luce, gli unici momenti in cui è stato possibile riapprezzare almeno parzialmente il Sock dei bei tempi sono coincisi con le sue apparizioni in Laver Cup: un contesto nel quale, accanto ai grandi campioni e spesso anche al suo amico Kyrgios, ritrovava la possibilità di far vedere a tutti le sue capacità e di conseguenza si divertiva. E in tal senso, quale occasione migliore dell’ultimo match della carriera di Federer, per giunta in doppio con Nadal? Jack Sock sta tutto nell’intensità messa in campo in quella partita, onorata e vinta insieme a Tiafoe (Roger e Rafa avrebbero sicuramente preferito vincere ma non volevano certo che gli avversarsi si scansassero, come si suol dire – anche perché il capo in Laver Cup è Federer e se lui chiede di vincere, allora vince): al centro del mondo del tennis, senza nulla da perdere ma anche senza paura di sfigurare… le condizioni perfette per scagliare ace uno dietro l’altro e per maltrattare la pallina con il dritto che, quasi per magia, rimane in campo nonostante venga colpito con forza bruta. “Spero di aver reso orgoglioso il bambino che a otto anni si è subito innamorato del tennis. Ho messo insieme 14 anni di ricordi che non dimenticherò mai. Dalla vittoria di quattro Slam all’oro e al bronzo olimpico, dal piazzamento tra i top-10 sia in singolare che in doppio alla partecipazione in Davis e Laver Cup”. Così ha scritto su Instagram prima di aggiungere di essere andato “oltre quello che avrei potuto sognare”: indubbiamente quando era piccolo e insieme alla madre e al fratello doveva sopportare 650 chilometri a settimana per non perdere gli allenamenti alla Mike Wolf Academy i suoi sogni non potevano essere così grandi, ma è difficile credere che poi, strada facendo, non abbia avuto attese – trasformatesi in ansie – anche superiori e che siano state queste a bloccarlo. Nella sua ultima partita, a New York, avrà al proprio fianco Coco Gauff – in doppio misto – o proprio Isner, nel tabellone di doppio maschile. Dopo si darà al pickleball (come ha già fatto Sam Querrey), un nuovo sport di racchetta (in realtà è stato inventato negli anni ’60) che è già popolarissimo negli States e che, secondo molti, presto si affermerà anche in Italia seguendo le orme del paddle. Di sicuro quel burlone di Jack troverà un altro modo per spassarsela. ...

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