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Clerici racconta sé stesso-

Guarda il video integrale sul portale Intesa Sanpaolo Ricostruiamo la figura di Gianni Clerici attraverso frammenti di sue opere e di suoi articoli, per ottenere un ritratto-collage che ben delinea un personaggio eclettico e spumeggiante. “Allevato con amore, forse eccessivo e con poca disciplina. Lasciato libero di frequentare il liceo, di ritirarmi da scuola per tentare l’avventura del tennis, di iscrivermi all’università, per abbandonarla e poi riprenderla”, così si è descritto Clerici in Quello del tennis.  «Fondamentalmente io sono un vigliacco. Un vigliacco con infinito coraggio. E quindi sono un ossimoro. Mi hanno arricchito i viaggi. Le amicizie. La possibilità di vincere la mia pigrizia. Quando sto in una città per un torneo spesso finisco per andare a vedere una mostra che altrimenti non avrei visto. E insomma, sì, probabilmente il tennis mi ha arricchito. Denis Lalanne ha scritto sull’Equipe che il tennis è una lente d’ingrandimento della vita. Sebbene pensi che possa essere vero anche il contrario, è una definizione che faccio volentieri mia. Sei felice se hai fatto felice quelli che ti hanno incontrato nella vita. Questa è la felicità». (alla rivista della federazione Supertennis Magazine, 2005) Gianni Clerici e quel bar sospeso tra tennis e tempo «E pensare che li immaginavo rotondi, quasi morbidi i miei novant’anni. Sono invece spigolosi, acuminati come ferri da calza. La vecchiaia porta unicamente con sé il senso della perdita. La perdita di troppe cose. Un giorno ti svegli e non sai più fare un gesto che hai compiuto prima di allora milioni e milioni di volte: chiudere l’ultimo bottone al collo della camicia, annodare la cravatta, allacciare una stringa. Il tempo non regala nulla, neppure la saggezza. È una continua ineludibile sottrazione. Tre sono le pene più grandi con cui ci affligge la prestanza fisica che se ne va, la deambulazione che diventa periclitante e il sesso che si trasforma in rinuncia». (a Dario Cresto-Dina, il Venerdì, 2020) Il pittore della carta stampata: il ricordo di Gianni Clerici si Steve Flink «Il calcio, veramente, cominciò a farmi schifo negli Anni 60, quando scrissi una cosetta che si chiamava Fuori rosa, un romanzo sul declino di un campione che va a giocare in provincia, Bergamo o Brescia, il libro non lo dice, a occhio più Brescia che Bergamo, poi neanche più lì, infine ritrova un suo vecchio compagno, questo amico lo ospita e quando va ad allenarsi, perché lui ancora gioca e il protagonista invece no, quell’altro non può fare a meno di scopargli la moglie. Mi chiamò Rivera, che conoscevo da quando andavo a scrivere le cronache di calcio sul Giorno, stile ironico e brillante, beh abbastanza, così mi mettevano di servizio nelle partite importanti, se possibile non lontano da Como, la mia città, e mai quelle di Inter e Milan che spettavano a Brera, oltretutto assai più bravo di me. Rivera, dunque: mi disse “bellissimo libro, ma tra noi giocatori una cosa del genere non accadrebbe mai“. Ci credeva pure. Io amo altro, per esempio gli alpini, sono stato conduttore di muli nel Quinto, anche se ero un signorino ricco possedevo la mia identità. Così andai dai miei capi al Giorno e dissi: da oggi non scriverò più di calcio. Passai allo sci, adoravo i fondisti che mi ricordavano gli alpini e i discesisti perché sono matti. Scrissi anche di basket fino all’arrivo degli ultras nei palazzetti, quindi tornai dai capi e feci loro presente che da quel giorno non avrei più scritto nemmeno di basket. Il tennis è stato un modo per difendersi dalla vita seria. C’era questo problema della morte, a vent’anni si pensa a certe cose, io mi ero messo in testa di diventare monaco in Thailandia… E invece di pensare alla morte, cominciai a giocare a tennis» . (a Maurizio Crosetti, Repubblica Torino) L’addio a Clerici sui giornali italiani: “Lui, Mura e Brera, i tre grandi Gianni del racconto sportivo” «Ho avuto uno psichiatra di fede buddista che in gioventù provò a curarmi? Ricordo che a un certo punto sia lui che io decidemmo di farci monaci e andammo a trovare a Roma il professor Giuseppe Tucci per regalargli una sciarpa di raso bianco. Era un modo carino per chiedergli un consiglio su che cosa fare delle nostre vite spirituali. Ci scoraggiò. Ci disse: “figlioli ma che cosa pensate di fare? Non conoscete la lingua, non avete nessuna idea del popolo e per giunta davanti a un loro mantra vi perdereste come bambini nella foresta. Se proprio dovete, fate come me: studiate l’Oriente. Il buddismo più che una religione è un’etica. La differenza è notevole. Come tra una bistecca di tofu e una di manzo. Religiosamente sono sempre stato un inquieto. Pensi che a un certo punto ero diventato ismailita. Ma questo non lo dica. Potrebbero fraintendermi. Non mi prendo mai troppo sul serio. Se lo facessi mi sentirei un uomo disperato».  Gianni Clerici: il ricordo di Ubaldo Scanagatta su Radio Sportiva, Radio 1 e questa sera anche su SKY Sport 24 [AUDIO] «A volte do l’ impressione del flâneur, ma provengo da una stirpe di imprenditori. Mio padre commerciava con il petrolio. Dopo la laurea ho lavorato con lui per due anni. E non mi divertiva sapere al mattino le quotazioni del greggio in Arabia Saudita. Finché ho deciso. Sono andato dal vecchio e gli ho detto che quella roba non era per me. Volevo fare lo scrittore. Ma non avendo il coraggio di confessarglielo, mi limitai a un meno rischioso: “vado a fare il giornalista”. Un giornalista descrive la realtà. Uno scrittore ruba dalla realtà e dagli altri sapendo che ciò che prende potrà essere nuovamente donato. Più che un Robin Hood lo scrittore è come un malato affetto da sonnambulismo. Ero andato a Copenhagen ad intervistare, fuori dalle mie competenze sportive, il regista Theodor Dreyer. Degli amici mi segnalarono che poco distante abitava Karen Blixen. Tramite il suo editore inglese, riesco a farmi ricevere da questa vecchia signora che mi accoglie in giardino, sotto un ombrellino, vestita tutta a modo di pizzi bianchi. E la prima cosa che mi dice squadrandomi è: guardi che non rilascio interviste. Mi sarei messo a piangere. Avevo di fronte la più grande scrittrice vivente e non sapevo più che fare. Poi, timidamente le sussurro che anch’io avrei voluto scrivere, che anzi qualcosa avevo scritto ma che dopotutto non sapevo bene se continuare. Lei mi ferma con il gesto di una mano affilata e magrissima. Mi guarda e bruscamente commenta: il momento buono per scrivere è quando non ci si ricorda più se una cosa che lei ha scritto è veramente accaduta o se l’ha soltanto immaginata. La letteratura confonde memoria e desiderio».  «La viltà fa parte di quella paura del fallimento che del resto avevo già vissuto come campione di tennis. Ci vorrebbe Padre Freud per entrare nei meccanismi di questa paura che mi sono trascinato fin da giovane. Pensi che ero perfino convinto di essere impotente, fino a quando, dopo due mesi di analisi, il mio amico psichiatra, che mi aveva in cura, mi porta a cena e mi dice: “Gianni, non sei impotente, sei solo un cagasotto“. Ero fortissimo nel doppio, ho vinto sei grandi tornei. In fondo mi sentivo confortato dalla presenza dell’altro. Sono cresciuto oltre che con il marchio di infamia del giornalista sportivo, con quello dell’omosessuale. Questa tenue vocina che sta ascoltando non ha aiutato. Certe frequentazioni poi – Zeffirelli, Visconti, Arbasino, Luigino Gianoli il più grande scrittore di cavalli – neppure. Con loro, a volte si mangiava assieme, discutevamo. Ero accettato, sebbene non fossi omosessuale. Quella sulla volée di McEnroe è stata una battuta per ridere»  «Il tennis è stato una specie di ‘Io interiore’ che forsennatamente lavora dentro di te. Il mio psichiatra, che amava il tennis, diceva che i tennisti sono degli squilibrati. Persone afflitte da disturbi seri. E sperano inconsciamente di trovare nel tennis la soluzione alle loro angosce. A volte stai dentro il campo quattro cinque ore. è una traversata del deserto. In certi momenti vorresti mollare tutto e andartene. Il solo sport che riesco ad accostargli è la maratona. Quando arriva la crisi, devi rifare i conti con la tua identità, con le tue forze, con la tua testa».  «La brigata che ha arrestato Mussolini era la “Cinquantaduesima, Luigi Clerici”, un mio parente. Anche mio padre partecipava. Ricordo che gli portavo i mitra sovietici nascosti nella borsa da tennis. Un giorno stavo per essere scoperto. Avevo 14 anni e oggi non sarei qui a raccontarmi. Forse sono un cattivo italiano».  Clicca qui per leggere la classifica ATP aggiornata al 6 giugno 2022! ...

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