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Cosa hanno in comune tennis e scacchi e perché i tennisti robot sono lontani

Quanto volte avete sentito dire – non troppo a sproposito – che il tennis è uno degli sport più simili agli scacchi? In entrambi gli sport – sì, gli scacchi lo sono e lo prova il riconoscimento del comitato olimpico – l’aspetto strategico riveste un ruolo di primissima importanza, laddove gli scacchi sono però la definizione stessa di strategia, un tale reticolo di complessità da fare in modo che le possibili combinazioni del gioco sulla scacchiera siano superiori al numero di atomi esistenti nell’universo. Non alle variabili del gioco orientale ‘Go’, nato in Cina oltre due millenni fa e assurto alle cronache internazionali perché un sistema di intelligenza artificiale (AlphaGo Zero, neanche a dirlo sviluppato da Google) ha imparato a giocarvi così bene da battere ripetutamente – prima – e costringere al ritiro – poi – il più grande campione del gioco, il coreano Lee Sedol. AlphaGo Zero non ha imparato ingurgitando un campione ragionevolmente ampio di partite giocate come aveva fatto la versione precedente, ‘AlphaGo’; ha semplicemente ricevuto come input le regole base del gioco e ha perfezionato la sua tecnica giocando ripetutamente contro sé stessa. In meno di un mese, la macchina è diventata il più abile giocatore di ‘Go’ esistente sul pianeta. Per fortuna nessun progresso del deep learning (il modo assai sofisticato in cui oggi le macchine possono apprendere) ha messo fine ad alcuna carriera di scacchista o tennista. Per il momento, almeno. Poco più di vent’anni fa il computer Deep Blue realizzato da IBM batteva Garry Kasparov, uno degli scacchisti più famosi della storia; se a questo aggiungiamo che la versione generalizzata del software che ha sconquassato il mondo del ‘Go’, ovvero ‘AlphaZero‘, ci ha messo appena nove ore di apprendimento per diventare dominante sul più potente motore di scacchi esistente, Stockfish, il pericolo appare molto più concreto. Gli scacchi potrebbero diventare il prossimo terreno di conquista delle reti neurali artificiali. Certo battere i campioni umani è altra storia, ma è forse una storia che questi umani non vogliono rischiare di dover conoscere per non fare la fine del povero Lee Sedol, trafitto nell’orgoglio da una macchina invincibile. Il tennis è un po’ più al riparo, quantomeno perché la trasformazione di nozioni motorie e propriocettive dei robot in attività quotidiane sembra un problema ancora lontano dalla definitiva risoluzione. È vero che già alcune operazioni chirurgiche vengono perfezionate dalla tecnologia semi-umana, ma se questo robot non riesce a sistemare correttamente un cartone su un carrello senza cascare rovinosamente per terra (tirandosi giù pure il carrello), allora forse lasceremo questo pianeta tranquilli che nessun cyborg avrà, nel frattempo, dominato Federer sulla diagonale di dritto. Roger Federer – Australian Open 2020 (via Twitter, @AustralianOpen) Ma cosa rende il tennis simile agli scacchi e al contempo irrisolvibile, forse persino irricevibile per le macchine? Uno scacchista può allenarsi anche chiudendo gli occhi perché nella sua mente esiste una scacchiera completa e può riprodurre innumerevoli partite, esistenti e non, come quelle che hanno salvato dalla follia (o avvicinato alla, dipende dai punti di vista) il dottor B della ‘Novella degli scacchi‘ di Stefan Zweig, un libretto che peraltro vi consigliamo. Un tennista può fare lo stesso, rigiocando in mente una volée fallita maldestramente perché ivi risiede un campo di corrette proporzioni anche se non ce l’ha davanti, anche se non ne sta calpestando le righe. Soprattutto, il tennis e gli scacchi sono vicini perché in entrambi è fondamentale immaginare gli effetti di una propria mossa e al contempo predire quelli della prossima mossa avversaria. Un pedone spostato troppo presto (o troppo tardi), un alfiere che compie una diagonale troppo audace, possono produrre gli stessi effetti nefasti di un attacco prematuro (ehm…) che espone al passante avversario. Certo nel tennis si può vincere anche di forza bruta, mentre negli scacchi non capita praticamente mai e vince chi è capace di proiettarsi una mossa più in là dell’avversario. Però nel nucleo di complessità dei due giochi c’è tanto in comune. La brutalità con cui ci si dà battaglia – gli scacchi sono uno sport violentissimo, al contrario di quello che si può credere – è in antitesi rispetto al comune epilogo elegante, una stretta di mano e l’ammissione d’inferiorità al cospetto del vincitore. Per dirla con una massima, ‘il tennis è come giocare a scacchi correndo‘ – secondo David Foster Wallace. Ci sono anche stati campioni di tennis abili con la scacchiera. John McEnroe, che abbiamo visto sfidare il padre a scacchi nel film ‘Borg McEnroe’ del 2017, Boris Becker (che in testa al pezzo vedete opposto al suo ex allievo Djokovic), Ivan Lendl e tra quelli in attività Daniil Medvedev, che sembra scacchista anche sul campo. Sono appassionate di scacchi anche Elena Dementieva e la meno sospettabile Anna Kournikova. Scoperta più recente, con la scacchiera se la cava anche Ivan Ljubicic, allenatore di Federer attualmente cassaintegrato dal lockdown forzato. L’ex tennista croato è riuscito a intrufolarsi tra i 26 avversari della ‘simultanea’ lanciata dal numero 5 del mondo di scacchi, il francese Maxime Vachier-Lagrave, uno dei candidati a sfidare il detentore Magnus Carlsen (l’attuale n.1, il Djokovic della scacchiera) per il titolo di campione del mondo. La simultanea è una particolare partita in cui un professionista – di solito muovendo il bianco – sfida più avversari in contemporanea, e in quest’occasione Vachier-Lagrave ha ottenuto un discreto score di 21 vittorie, 4 patte e una sola sconfitta. Tra le quattro partite finite in parità c’è quella in cui il campione francese era opposto a Ljubicic. I più esperti possono rivedere la partita qui: Ljubo ha giocato in modo molto prudente, Vachier-Lagrave si è limitato ad attendere un errore marchiano che non è arrivato e alla fine, in una situazione di parità numerica, ha offerto la patta all’ex tennista. Un po’ come se Medvedev, numero 5 del mondo, affrontando in contemporanea tre dilettanti dall’altra parte del campo, fosse trascinato al tie-break da uno dei tre. Aiuta a farsi un’idea, ma non è proprio la stessa cosa perché tennis e scacchi sono molto simili ma anche molto diversi. Il tennis, con tutto il suo carico di splendidi errori, rimane irricevibile per la macchina perché sembra ma non è un gioco a informazione completa, come appunto gli scacchi o il Go. Pur complicatissimi, pur potendosi snodare su miliardi di possibili mosse, sono giochi in cui un giocatore conosce in ogni momento lo storico delle giocate precedenti che si riflette nella situazione sulla scacchiera. Tutto è noto. Anche nel tennis sembrerebbe essere così, poiché sappiamo esattamente quali passaggi hanno condotto alla situazione di gioco che ci troviamo di fronte. C’è però una differenza cruciale. Ogni mossa negli scacchi è uguale a sé stessa, che la giochi Kasparov o un operaio di Voghera (la casalinga è fuori a vivere la sua vita borghese, felicemente sdoganata dai tempi). La differenza sta nella scelta di giocarla, l’esecuzione è la stessa. Nel tennis no. Si può avere la stessa cognizione del campo di Federer e sapere esattamente quali colpi giocare e quando, ma senza il suo braccio non si vince alcuna partita. La variabilità risiede – ed è cruciale – soprattutto all’interno del singolo colpo, secondo un range che può variare dal servizio spaccavetri di Fantozzi a quello di Kyrgios che viaggia a 210 orari e atterra sulla T, imprendibile. Si può pensare che attaccare sul dritto dell’avversario – in teoria è il suo colpo più debole… – sia una buona idea per convertire un match point, ma l’attacco si rivela corto e alla fine si perde la partita. Purtroppo (o per fortuna) nel tennis non esiste la parità, se non per qualche momento di transizione nel corso del gioco. Per fortuna (e non certo purtroppo), il tennis rimarrà immune ancora per un po’ agli attacchi artificiali e un po’ spoetizzanti della perfezione. Se prendiamo in prestito la definizione applicata al calcio da Gianni Brera, secondo cui la partita perfetta è quella che finisce 0-0 – sul quale il gol agirebbe come elemento di disturbo – si può immaginare che il match di tennis perfetto è composto da uno scambio infinito, senza errori né vincenti. Del resto, nell’epoca del tennis percentuale, cos’è un colpo vincente se non una bellissima falla del sistema? ...

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