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Djokovic e il Grande Slam: perché sì, perché no

Tra Novak Djokovic e il Grande Slam c’è ormai soltanto Daniil Medvedev. Ecco i (tanti) motivi per cui il serbo parte favorito. Ecco perché il russo, per cercare di creare la sorpresa, dovrà avere coraggio e cambiare il suo gioco. Resta solo una partita. Una volta battuto anche Daniil Medvedev in finale, Novak Djokovic potrà finalmente mettere in bacheca il suo Major numero 21, completando il Grande Slam in un anno solare. Impresa che non è più riuscita a nessuno dai tempi di Rod Laver, anno 1969. La vittoria su Alexander Zverev in semifinale è stata la più difficile del torneo, come peraltro era prevedibile considerato lo stato di forma del tedesco. Ma adesso c’è un altro match insidioso, per le caratteristiche dell’avversario e perché rappresenta il momento più importante dell’intera carriera del serbo. Cosa ci dobbiamo attendere, dunque, dalla sfida dell’anno? Perché Djokovic può davvero entrare nella leggenda e perché rischia di non farlo, proprio all’ultimo ostacolo? GRANDE SLAM, PERCHÉ SÌ Cominciamo col dire che Nole parte favorito, a prescindere da tutte le considerazioni legate alla pressione del momento. Dunque saranno certamente più ì sì, rispetto ai no, in questa valutazione delle probabilità di poter leggere domenica sera un nuovo affascinante capitolo di storia dello sport. Djokovic, lungo tutta la carriera, ha già dimostrato che nelle condizioni di tensione ci sta a meraviglia. Sono poche le eccezioni, con le uniche difficoltà emerse nei periodi di insicurezza, tecnica o personale. Oggi, il serbo appare sicuro come mai in precedenza. Tanto che durante questo Us Open si è spesso concesso il lusso di partire (relativamente) piano, per poi aumentare il ritmo una volta sotto nel punteggio. Come ha detto Matteo Berrettini, pare che il numero 1 del mondo trovi persino ulteriore forza, da una condizione di svantaggio. E questo per tutti coloro che ambiscono a fermarlo è una sorta di condanna: non basta partire bene e non basta mettere la testa avanti. Bisogna continuare col piede sull’acceleratore, senza fare errori, per ore e ore. La seconda considerazione che avvalora la tesi del sì è puramente tecnica: Djokovic non teme il tennis di Medvedev, come del resto non teme quello di nessuno. Come ha dichiarato lui stesso, negli anni ha saputo costruirsi un bagaglio tecnico in grado di far fronte con la medesima efficacia ad avversari molto diversi. Può esserci il grande battitore, oppure il regolarista, oppure ancora uno che sa attaccare e difendere. Come Medvedev. Ma lui, Nole, conosce sempre una via per uscire dal labirinto. La terza considerazione è puramente statistica: contro il russo, il numero 1 del mondo ha vinto cinque volte su otto. Ha vinto inoltre 20 delle 30 finali Slam disputate, e quest’anno ha ceduto complessivamente cinque incontri, due dei quali alle Olimpiadi. Gli altri tre, li ha persi tutti sulla terra battuta. Significa che sul duro, nel Tour, è ancora imbattuto nel corso del 2021. A tutto questo, va aggiunta una postilla, la sua frase per presentare la finale: “Giocherò – ha detto – come se fosse l’ultimo match della mia carriera”. GRANDE SLAM, PERCHÉ NO Spiegare perché Novak rischi di non farcela è un esercizio difficile, eppure doveroso. Lo sport è pieno di traguardi straordinari sfumati per un soffio e in circostanze impensabili, e il tennis non fa eccezione. L’ultimo esempio? Serena Williams nel 2015 sembrava lanciata come e forse più di Djokovic verso la conquista del poker di Major, invece proprio a New York (ma in semifinale) trovò in Roberta Vinci una rivale anomala e quel giorno talmente ispirata da rappresentare un muro invalicabile. Il tennis d’attacco della tarantina è un buon punto di partenza per parlare delle chance di Medvedev, anche alla luce di quanto racconta Craig O’Shannessy, ex componente dello staff del serbo e maggiore esperto mondiale di match analysis. In sostanza, O’Shannessy spiega quello che in realtà era già molto chiaro osservando le partite in quel di New York, ossia che al momento non c’è modo – dati alla mano – di sfondare Nole giocando solo da fondocampo. E chi vuole batterlo, di conseguenza, deve andare a cercarsi i punti a rete mantenendo alta l’efficacia. Il problema è che dall’altra parte c’è uno che passa con precisione chirurgica, ma di fronte a una condizione addirittura peggiore, è comunque meglio prendersi questo rischio. Per giunta, Medvedev non sarà Edberg ma è capace di coprire il campo anche verticalmente. Dovrà farsi violenza, ma dovrà capire che è l’unica strada percorribile per avere qualche chance, e il russo è prima di tutto un ragazzo intelligente, uno che la matematica a scuola la padroneggiava come un genietto. Adesso più che mai è il momento di giocare tenendo bene a mente le statistiche e di far valere le doti di calcolatore. Volendo concedere al moscovita qualche chance in più, si può pure sottolineare il fatto che solo in due degli otto precedenti confronti diretti, Daniil sia uscito senza vincere almeno un set. Significa che le possibilità per lui, almeno in teoria, ci sono, anche se resta l’incognita del rendimento sulla lunga distanza. Medvedev, infine, non è uno di quelli che si spaventano di fronte al grande avversario o alla grande occasione. Lo dimostrò un paio d’anni fa, proprio agli Us Open, dove fece tremare Rafael Nadal costringendolo a una maratona di cinque set. L’idea di fare la storia al contrario, o meglio di impedire a Djokovic una conclusione da leggenda, potrebbe essere la motivazione extra necessaria per mandare in scena la partita della vita. L'articolo Djokovic e il Grande Slam: perché sì, perché no proviene da WeAreTennis. ...

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