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Djokovic supera Federer, punta Nadal e si prende Torino

Lo Slam numero 21 di Novak Djokovic, che ipoteca la sua presenza a Torino. Ma anche la riscoperta del talento di Kyrgios, il coraggio di Nadal, il futuro di Sinner (e Alcaraz). Ecco i temi di questo Wimbledon senza punti, ma con tante emozioni. Lo sconfitto Nick Kyrgios, che ha fatto dell’esagerazione (in campo, ai microfoni o via social) uno dei suoi tratti distintivi, l’ha paragonato a una sorta di divinità. E forse per una volta ha ragione. Perché, se la religione è quella della racchetta, come Novak Djokovic ce ne sono stati e ce ne saranno pochissimi nella storia. Il serbo l’ha ribadito una volta di più a Wimbledon, prendendosi il settimo titolo ai Championships ed eguagliando quel Pete Sampras che nel 1993 vide trionfare sull’erba del Centre Court dalla tv del ristorante di mamma e papà, a Kopaonik. Fu allora che decise che un giorno su quel campo col trofeo in braccio ci sarebbe stato anche lui, e come è andata a finire lo sanno tutti, con una storia di successo che continua ad arricchirsi di nuovi capitoli. A Londra, dove l’ultima partita l’ha persa (per ritiro) nel 2017, Novak ha scritto il ventunesimo capitolo di successo in uno Slam, superando Roger Federer e rispondendo a Rafael Nadal, che aveva alzato a quota 22 il record assoluto di titoli. L’ha fatto sfruttando appieno quello che rischia di essere il suo ultimo Major fino al Roland Garros 2023: se le politiche di Stati Uniti e Australia rimarranno quelle attuali, Nole non potrà giocare né a New York né a Melbourne, perché non vaccinato. Perciò, a Londra, ha voluto ricordare al mondo che quando c’è, nella maggior parte dei casi vince lui. E che le vittorie colte in sua assenza forse non hanno lo stesso valore. In una stagione così, azzoppata dalle assenze forzate, per Djokovic vincere all’All England Club era fondamentale anche in ottica Nitto ATP Finals di Torino. Senza i punti di Wimbledon (pur vincendo è sceso al numero 7 del ranking) e senza la possibilità di volare negli Stati Uniti il mese prossimo, per chiudere fra i primi 8 della Race gli servirà un mezzo miracolo, di quelli improbabili anche per lui. Ma col titolo Slam, il campione di Belgrado ha ipotecato la sua presenza al Pala Alpitour, sfruttando la regola – poco conosciuta perché raramente utilizzata – che permette ai campioni dei Major di prendersi automaticamente l’ottavo e ultimo posto, purché compresi fra i primi 20 della classifica. KYRGIOS, FINALMENTE La coppa e la gloria se le è prese Djokovic, ma la finale e il torneo in generale hanno promosso anche lo sconfitto Nick Kyrgios. Era da tempo che dell’australiano si parlava solamente per gli atteggiamenti al limite del tollerabile, senza che lui facesse nulla per cambiare la situazione. Ma, almeno per le due settimane londinesi, il costante desiderio di autodistruzione è stato affiancato dalla voglia di sfruttare almeno un po’ dell’enorme talento che madre natura gli ha regalato. Ne è venuta fuori una finale Slam che conferma quanto di buono si è sempre detto sul suo tennis, perfetto per l’erba ma in grado di funzionare benissimo dappertutto. Chi lo amava già prima lo amerà un po’ di più, chi non lo sopportava non cambierà la propria opinione, ma per una volta il buon Nick ha ricevuto più complimenti che critiche, anche da Djokovic (“non avrei mai pensato di dire così tante belle parole su di te”, ha scherzato Nole). E chissà che non possa essersi reso conto che, in fondo, rimanere all’interno di certi limiti non è poi così male, specie se i risultati che ne derivano sono quelli di Wimbledon. Nessuno gli chiede di snaturarsi o di non essere sé stesso, ma solo di esserlo un po’ meno. La sua carriera ne guadagnerebbe enormemente. IL CORAGGIO DI NADAL Wimbledon 2022 si è chiuso dunque con una finale anomala, per un torneo iniziato ugualmente con tante anomalie. All’interno, tuttavia, abbiamo trovato anche diverse certezze: la voglia di lottare di Rafael Nadal, per esempio, o la crescita impetuosa di Jannik Sinner e di Carlos Alcaraz. È stato anche il torneo del ritorno di alcune grandi scuole in crisi da tempo: quella americana, in primis, ma pure quella australiana e quella olandese. Che Rafael Nadal avesse coraggio, lo sapevamo anche prima. Ma la sua prestazione ai Championships ha rafforzato ulteriormente questo dato di fatto. Persino il padre, durante il match contro Taylor Fritz, gli aveva consigliato con gesti plateali di lasciare il campo, di smettere di sopportare quel dolore provocato stavolta non dal piede, bensì da uno strappo di sette millimetri ai muscoli addominali. Ovviamente, Rafa non ha ascoltato nessuno se non se stesso. Perché al di là del dolore e della soglia di sopportazione, che cambia in ogni persona, dentro di lui c’è una sorta di sfida nella sfida che prende il sopravvento. Una sfida contro ciò che gli capita, prima che contro gli avversari. Non fosse stato fatto di questa pasta, del resto, il maiorchino si sarebbe ritirato da tempo. Invece è ancora lì che lotta, nonostante abbia 22 Slam in bacheca e 36 anni suonati. Correva per il Grande Slam, Nadal, e questo rende quasi logico il suo tentativo, naufragato poi prima della semifinale con Kyrgios, quando è stato chiaro persino a lui che con quel problema non sarebbe potuto essere competitivo. SINNER E ALCARAZ La partita tra Jannik Sinner e Carlos Alcaraz, negli ottavi di finale, è stata una porta aperta sul futuro del tennis. Un futuro che per l’Italia, da questo Wimbledon, appare addirittura migliore di quello che si poteva pensare. Alcaraz era già sul punto di diventare uno spauracchio, addirittura una bestia nera, per Sinner e per gli azzurri in generale. Invece Jannik ha vinto il primo scontro diretto (in precedenza ne avevano giocati altri due) proprio nel momento più importante. Ribaltando non solo le gerarchie scritte nel ranking, ma anche l’impressione generale sull’iberico e forse persino l’approccio alle loro sfide future. Contro Novak Djokovic, Jannik Sinner ha giocato per oltre due set la sua partita perfetta. Non è bastato per andare avanti e provocare la più grossa sorpresa del torneo, ma soltanto perché Nole ha dimostrato per l’ennesima volta di essere il più forte quando c’è da ribaltare un confronto nato male. Nel Roland Garros 2021, a farne le spese era stato Lorenzo Musetti. Stavolta è stato un altro giovane azzurro di belle speranze. Ma Djokovic, anche se a volte sembra far pensare il contrario, non è eterno e il futuro dei nostri due talenti non si fermerà sempre all’inizio del terzo set. LE GRANDI SCUOLE: USA, AUSTRALIA, OLANDA La scuola americana sta tornando, ed è una buona notizia per il tennis mondiale. Anche perché oggi, se è vero che ci sono dei tratti in comune tra i giovani statunitensi che cercano un posto al sole, ci sono anche tante differenze che rendono il gruppo a stelle e strisce ancora più interessante. Ci sono ancora i soliti big server, che comandano soprattutto col servizio e col diritto. Ma ci sono pure i talenti a tutto campo (Korda, Tiafoe) e alcuni personaggi atipici che potrebbero davvero avere davanti a sé un futuro brillante (Brooksby, Nakashima). L’altra grande scuola in crescita è quella australiana, che in realtà sull’erba non ha mai smesso di produrre talenti affidabili. Tolto Kyrgios, che fa storia a sé, a Wimbledon 2022 abbiamo visto delle ottime prove da parte di Alex De Minaur e Jason Kubler. Senza dimenticare Thanasi Kokkinakis, incappato in Djokovic già al secondo turno ma ancora in tempo per costruirsi una carriera importante. Infine, in questa rinascita dei Paesi leader in un passato non troppo lontano, c’è anche una piccola realtà europea. Si tratta dell’Olanda, che da tempo non riusciva a produrre giocatori in grado di arrivare con costanza tra i migliori nei tornei che contano: Botic van de Zandschulp e la sorpresa Tim van Rijthoven, insieme a Tallon Griekspoor, sembrano in grado di riportare i tulipani almeno ai tempi di Jacco Eltingh, Paul Haarhuis e Jan Siemerink (tutti top 20 Atp). In attesa che magari prima o dopo arrivi anche un nuovo Richard Krajicek, in grado di vincere uno Slam. 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