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Gaudenzi story, tra Muster, Davis e Federer

L’attuale presidente Atp arrivò al numero 18 del mondo, vincendo tre titoli del Tour e battendo diversi campioni. Tra cui Roger Federer, sconfitto a Roma nel 2002. I rimpianti? La Davis e Monte-Carlo. Ecco le tappe principali della sua carriera, in quel circuito che adesso si trova a dover gestire nel momento più difficile. Anno 1990, un tennista italiano alza i trofei di Roland Garros e Us Open juniores, diventando numero 1 del mondo del ranking Under 18. Si chiama Andrea Gaudenzi ed è un piacere per gli occhi: gioca a tutto campo, attacca, vince e diverte. È il giocatore che ci fa sognare, peraltro in un periodo in cui di ragazzi giovani e di buon livello cominciamo ad averne tanti: Omar Camporese, Renzo Furlan, Cristian Caratti, Stefano Pescosolido e Diego Nargiso, in fondo sono poco più grandi di lui e si apprestano a vivere le loro migliori stagioni. Però Andrea ha qualcosa in più, non tanto sotto il profilo del talento puro, quanto della mentalità. L’approccio coi pro è duro, complesso, ma non è una sorpresa per nessuno. La prima partita vinta in un Challenger è dell’agosto del 1992, ma bisogna attendere il 1993 e il torneo di Sydney per incamerare il primo incontro nel circuito maggiore. Sono i tempi dei satelliti, quelli che ti costringono a stare fuori casa per un mese, alla ricerca di una misera manciata di punti. Andrea ne fa tanti, ne vince parecchi, prende fiducia e prende coraggio, ma l’evoluzione verso gli obiettivi ambiziosi che si erano fatti largo in quel 1990 benedetto è più lenta del previsto. L’APPRODO ALLA SCUOLA DI MUSTER Gaudenzi non è uno che si ferma ad aspettare sperando in tempi migliori. A Firenze vede allenarsi Thomas Muster, decide che potrebbe essere il suo modello, per abnegazione e capacità di lottare. Così entra nel team che fa capo al coach-manager Ronnie Leitgeb, e in poco tempo cambia radicalmente carriera e prospettive. Comincia dando una sforbiciata ai fronzoli del suo gioco: diventa un po’ meno bello, ma parecchio più concreto. Diventa uno che per fargli il punto devi farlo quattro o cinque volte, e forse non basta nemmeno. Un incrocio tra un austriaco e uno spagnolo, con qualche sprazzo di convinta italianità. Non solo nel gioco, ma pure negli atteggiamenti. Come quando, durante una delle partite più importanti della sua vita, contro Goran Ivanisevic sul Centrale del Roland Garros, approfitta di una pausa fisiologica dell’arbitro di sedia per salire sul seggiolone e annunciare ‘jeu, set et match Gaudenzì’. Quando gioca, tuttavia, il faentino è la quintessenza della serietà. Passo a passo sale la classifica, diventa numero 18 del mondo e numero 1 d’Italia, raccogliendo alcuni risultati che per l’epoca sono storici: su tutti, è una semifinale a restare nella memoria collettiva. I RIMPIANTI: MONTE-CARLO E US OPEN Il palcoscenico è quello di Monte-Carlo, l’azzurro ha appena fatto fuori tre personaggi come Petr Korda, Yevgeny Kafelnikov e Sergi Bruguera. In semifinale si trova di fronte proprio Muster, il suo esempio. Che per un giorno diventa avversario. Andrea sembra avere in mano la partita e una finale possibile contro Boris Becker, che sulla terra non vince praticamente mai. Invece Muster pare un pugile suonato ma rimane in piedi fino a conquistare una vittoria tra le più drammatiche di quel periodo. È il 29 aprile del 1995, ed è la giornata della più grande delusione per il faentino. Persino più grande di quella del settembre 1994, a New York, quando una sconfitta contro il carneade tedesco Renzembrink aveva vanificato l’impresa di due giorni prima contro Jim Courier. Ormai, però, Gaudenzi è tra i giocatori più pericolosi del Tour, e a dimostrarlo ci sono le vittorie su alcuni dei migliori dell’epoca: Pioline, Kuerten, Ivanisevic, Rafter, Stich, Corretja, Medvedev. A mettergli i bastoni tra le ruote c’è però un problema fisico, una spalla delicata che è sul punto di dargli il dispiacere più grande. LA DAVIS A MILANO Siamo nel 1998, è l’anno dell’unica finale di Davis giocata in Italia. Una finale cui si arriva dopo l’impresa di Milwaukee, un 4-1 agli americani che porta un duplice timbro di Gaudenzi: singolare contro il belloccio Gambill e doppio, accanto a Nargiso, contro Gimelstob e Martin. A Milano ospitiamo la Svezia sulla terra, e le speranze sono appese proprio a lui, a quel romagnolo tenace come la sua terra che sul rosso ha già dimostrato di poter battere chiunque. Mentre lotta contro Magnus Norman, nel quinto set del singolo di apertura, Andrea sente un rumore sinistro e un dolore lancinante. Si ferma, non può continuare. Con il suo ritiro, se ne vanno i sogni dei diecimila del Forum di Assago, la Svezia vince per 4-1 ma dopo il doppio del sabato ha già l’Insalatiera in mano. Gaudenzi però non si arrende, completa la riabilitazione e prova a ripartire per una seconda carriera, ancora più difficile della prima. Un secondo tempo che però gli porta in dote i trionfi più belli. Nel 1998 vince a Casablanca, mentre nel 2001, tra il 20 maggio e il 15 luglio, si porta a casa due titoli Atp (St. Polten e Bastad) e un Challenger (Braunschweig), piegando gente come Rios e Robredo. Nel 2002 al Foro Italico incrocia all’esordio un Roger Federer ventenne e in piena fase di esplosione. Eppure lo tiene a bada e lo elimina: 6-4 6-4 il punteggio, frutto di un gioco ordinato, intelligente ed efficace, una buona sintesi della sua personalità. Resterà l’ultimo acuto, il filo che lega la sua carriera al tennis dei nostri tempi. Un tennis che adesso conta sulla sua guida, proprio nel momento più difficile. 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