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Il bicchiere mezzo pieno: Coppa Davis, che (dovevamo) farne?

Capita, ogni tanto, di fare un passo indietro. Soprattutto dopo che qualcosa di grosso è cambiato, dopo quella che in molti non hanno temuto di definire ‘rivoluzione’. Qualcuno l’ha fatto per scovare le contraddizioni di chi si è lamentato per la riforma della Coppa Davis senza in realtà aver mosso un dito quando la competizione era agonizzante; noi l’abbiamo fatto per scoprire come la pensavamo quando nulla di ufficiale era stato ancora scritto, e i pensieri erano più genuini. Questo è il dialogo dei nostri Bill e Ted, il primo più speranzoso, il secondo… con in mano un bicchiere mezzo vuoto. Bill: Indubbiamente la Davis ha bisogno di cambiamenti. Ted: Su quello credo che siamo tutti d’accordo. Il problema secondo me, è l’appeal che la Davis ha per pubblico e giocatori. Non il formato. E non credo che drastici cambiamenti possano salvarla. In effetti non so se la competizione possa essere salvata da qualsiasi tipo di cambiamento. Bill: Può darsi, ma cambiare il formato, facendo in modo che tutti i più forti partecipino è sicuramente un buon modo per ridare lustro alla competizione. E poi magari le cose cominciano a funzionare. Ted: E tu pensi che cambiando il formato le star tornerebbero a giocare la Davis con regolarità? Io non credo. Bill: È un po’ la storia dell’uovo e della gallina. Ted: Non era mica il bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno? Bill: Anche. Ma il punto è: la Davis ha perso interesse perché i più forti non giocano o i più forti non giocano perché la Davis ha perso interesse? Ted: Appunto. Io credo che sia la seconda opzione. E drastici cambiamenti non ridaranno prestigio ad una competizione che per il tennis moderno è diventata anacronistica. Se fosse un appuntamento imprescindibile nel calendario, tipo uno Slam, i campioni parteciperebbero in ogni caso. Ma non è così. Se vogliamo parlare di bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno, come dovremmo visto il nome della rubrica, secondo me il bicchiere è quasi vuoto e c’è poco da fare per riempirlo. Bill: Se tu avessi ragione allora qualsiasi cambiamento sarebbe inutile. La Davis è condannata dallo spirito del tempo e non da circostanze che possono essere aggiustate. Se invece fosse la prima opzioni, rendere la partecipazione più agevole per i campioni potrebbe davvero riportare la Davis agli antichi fasti. Io penso che il bicchiere sia mezzo pieno. La Davis non è così moribonda come sembra e alcuni cambiamenti accorti, senza troppi stravolgimenti, potrebbero renderla una competizione di altissimo livello e prestigio, al pari di uno Slam. Ted: E come? Dovresti rendere la partecipazione più agevole per attirare i campioni ed allo stesso tempo convincere il pubblico. Bill: Se la Davis avesse un dispendio di energie paragonabile ad uno Slam, forse i campioni tornerebbero. Ted: Le fatiche di uno Slam ma senza il prestigio di uno Slam. Bill: Una volta che il formato fosse reso tale da garantire un impegno analogo ad uno Slam, l’ITF potrebbe iniziare una campagna di rinnovamento e promozione per ridare prestigio alla Davis ed in pochi anni probabilmente i campioni tornerebbero a giocarla. Pensa all’Australian Open. Sono state condizioni migliori, ad esempio spostarsi sul cemento, montepremi più alti e marketing a riportare il torneo al livello degli altri Slam. Due tra i problemi principali della formula attuale sono settimane e adattamento. Ovvero, il fatto che quattro volte l’anno i giocatori devono cambiare location e superficie per giocare due partite. Quattro settimane sono troppe. I cambi di superficie sono troppi. Limitare questi due problemi sarebbe un inizio dell’inversione di tendenza. Ted: Potresti anche avere ragione, Ma c’è un problema, ovvero che ci sono anche altri fattori ed interessi in gioco. Bill: Ad esempio? Ted: Il principale, anche se spesso taciuto, è che un match di Davis è un grande introito per le federazioni. Molte federazioni minori contano sulla Davis per portare a casa soldi importanti per il budget. Eliminare il weekend di Davis rischia di creare un grande danno economico. Quindi qualsiasi cambiamento dovrebbe tenere in considerazione questo aspetto, che inevitabilmente si scontra con la riduzione del numero di tie durante l’anno. Tanti match distribuiti durante l’anno, varie sedi, vari incontri, sponsor, televisioni, pubblico e soldi sono importanti per le federazioni. Ma questo sistema, logicamente, scoraggia i più forti che non vogliono sprecare energie preziose. Bill: Quindi bisognerebbe rendere lo sforzo di vincere una Davis paragonabile ad uno Slam lasciando intatti gli introiti per le federazioni. Sembra quasi impossibile. Ted: Esatto. Il primo problema, come hai detto tu, sono le date in calendario. La Davis prende quattro weekend durante l’anno. Quei match sono importanti per le federazioni ma quattro date con cambi di superfici e continenti sono troppo per un giocatore di punta. A me pare un conflitto irrisolvibile. Bill: Impossibile salvare capra e cavoli, ma forse qualcosa si può fare. Una sorta di via di mezzo. Ted: Hai un’idea in mente. Te lo leggo in faccia. Bill: Esatto. Ascoltami. Due settimane, come per uno Slam, ma non consecutive. Una settimana in primavera, ad esempio, ed una in inverno. Nella prima settimana ottavi e quarti. Nella seconda settimana semifinali e finale. Cinque sedi in tutto. Nella prima settimana, quattro sedi, quattro squadre per sede, e da ciascuna uscirebbe un semifinalista. Nella seconda settimana, una sola sede per i quattro semifinalisti. Le sedi scelte a rotazione tra le nazioni del World Group, a seconda anche della posizione geografica. Avere match durante l’intera settimana e quattro squadre presenti garantirebbe che gli introiti per ogni incontro sarebbero più elevati, il che potrebbe compensare il minor numero di incontri nel corso degli anni. Ted: E come sarebbero organizzati i tie? Bill: Lunedì, martedì e mercoledì il primo tie, ovvero gli ottavi nella prima settimana e le due semifinali nella seconda settimana; venerdì, sabato e domenica l’ultimo tie, ovvero i quarti nella prima settimana e la finale nella seconda. Ted: Fammi capire. A primavera in una settimana si giocano ottavi e quarti. Ad esempio, guardando il tabellone di quest’anno, in Francia si trovano quattro nazioni: Francia, Olanda, Italia e Giappone. Tra lunedì e mercoledì si giocano Francia-Olanda e Italia-Giappone. Olanda e Giappone vanno a casa a metà settimana e poi tra venerdì e domenica si gioca Italia-Francia. Giusto? Bill: Esatto. E poi a novembre si trovano Francia, Spagna, Croazia e USA per giocarsi il titolo. Ted: In linea di principio un giocatore potrebbe dover giocare 4 singolari e due doppi in una settimana. Bill: Permettere squadre più ampie. Di cinque o sei o anche sette giocatori, in modo da avere gli specialisti del doppio che giochino i doppi. Così facendo un singolarista dovrebbe giocare al massimo otto match in due settimane per vincere la coppa. Quasi come uno Slam. Più realisticamente ne dovrebbe giocare cinque o sei. Ted: Non sembra un’idea così assurda. Tre su cinque? Bill: Tre su cinque. Ted: La collocazione in calendario diventerebbe un punto cruciale, perché con una settimana di match tre set su cinque non si può immaginare di avere la Davis a ridosso degli Slam. Bill: Sono assolutamente d’accordo. Bisognerebbe trovare due settimane sufficientemente lontane dalle altre competizioni, che permettano ai giocatori di partecipare senza compromettere troppo il resto della stagione. Una settimana a fine anno, dopo le ATP Finals, sarebbe ideale, come è già adesso per la finale con il formato attuale. Mentre per ottavi e quarti la primavera, tra Miami e Montecarlo, o l’estate, dopo Wimbledon, potrebbero funzionare. Ted: Non so. Pensi che sarebbe sufficiente? I campioni si lamentano di dover giocare troppi tornei. Aggiungere due settimane di competizioni obbligatorie non sembra una via praticabile. Concedendo una settimana di break tra le ATP Finals e la finale di Davis di fatto si tolgono due settimane di vacanza ai giocatori. Avendo quattro nazioni coinvolte nell’ultima settimana ti troveresti con quattro campioni scontenti invece di due, come succede adesso. Ed ottavi e quarti? Il lasso di tempo tra Miami e Montecarlo è troppo breve per immaginare che un Nadal voli in Australia a giocare ben quattro match sulla lunga distanza. Lo stesso se si collocassero ottavi e quarti dopo Wimbledon, anche per un Nadal sconfitto ai primi turni. Bill: Hai ragione. La soluzione non è ideale e potrebbe funzionare nel contesto di una più ampia riforma del calendario. Non solo per la Davis ma per assicurare un periodo di sufficiente riposo ai tennisti. Secondo me, ci vorrebbero due periodi dell’anno, con almeno otto settimane consecutive, in cui i giocatori possano scegliere di riposare, senza tornei obbligatori. Il che non significa senza tornei in assoluto. Ho qualche idea anche a questo proposito, ma questo è un argomento per un’altra rubrica. Ted: Quindi secondo te la Davis può essere salvata da una riforma che ne preservi lo spirito e riporti i campioni a partecipare? Basterebbero degli aggiustamenti come quelli che abbiamo discusso adesso. Bill: Esatto. Per me il bicchiere è già mezzo pieno e non c’è bisogno di stravolgere del tutto la competizione col rischio di affossarla definitivamente. Ted: Invece secondo me il bicchiere è mezzo vuoto e non c’è modo di riempirlo nel panorama del tennis moderno. Una modifica come quella da te suggerita non attirerebbe i campioni, che già si lamentano di dover giocare troppi tornei ATP. Una rivoluzione come quella voluta dall’ITF distruggerebbe tutto l’appeal della competizione, e non credo che invoglierebbe i campioni a partecipare. L’unica via, secondo me, sarebbe data unica, location unica, una volta ogni quattro anni. Come per le Olimpiadi. Così, pur storcendo il naso, i giocatori verrebbero. Ma ITF e le varie federazioni non accetterebbero mai una simile proposta. Bill: Io spero che tu ti sbagli. Ted: Sono d’accordo che la Davis è una competizione unica per l’atmosfera che si crea. E anch’io spero di sbagliarmi. Ma personalmente non ne sento tanto la mancanza. Durante l’anno aspetto gli Slam. Non mi capita di pensare: ‘Non vedo l’ora che arrivi il weekend di Davis’. E questo, secondo me, è il motivo principale per cui il bicchiere e mezzo vuoto. Bill: Fortunatamente non tutti la vedono come te. Il team, la difesa dei colori nazionali, sono temi che piacciono a molti fan e che nel tennis si trovano solo nella Davis. Per questo credo che esista la possibilità di farla rinascere e per questo vedo il bicchiere mezzo pieno. Il bicchiere mezzo pieno: tutte le altre discussioni di Bill e Ted ...

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Il bicchiere mezzo pieno: Coppa Davis, che (dovevamo) farne?

Capita, ogni tanto, di fare un passo indietro. Soprattutto dopo che qualcosa di grosso è cambiato, dopo quella che in molti non hanno temuto di definire ‘rivoluzione’. Qualcuno l’ha fatto per scovare le contraddizioni di chi si è lamentato per la riforma della Coppa Davis senza in realtà aver mosso un dito quando la competizione era agonizzante; noi l’abbiamo fatto per scoprire come la pensavamo quando nulla di ufficiale era stato ancora scritto, e i pensieri erano più genuini. Questo è il dialogo dei nostri Bill e Ted, il primo più speranzoso, il secondo… con in mano un bicchiere mezzo vuoto. Bill: Indubbiamente la Davis ha bisogno di cambiamenti. Ted: Su quello credo che siamo tutti d’accordo. Il problema secondo me, è l’appeal che la Davis ha per pubblico e giocatori. Non il formato. E non credo che drastici cambiamenti possano salvarla. In effetti non so se la competizione possa essere salvata da qualsiasi tipo di cambiamento. Bill: Può darsi, ma cambiare il formato, facendo in modo che tutti i più forti partecipino è sicuramente un buon modo per ridare lustro alla competizione. E poi magari le cose cominciano a funzionare. Ted: E tu pensi che cambiando il formato le star tornerebbero a giocare la Davis con regolarità? Io non credo. Bill: È un po’ la storia dell’uovo e della gallina. Ted: Non era mica il bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno? Bill: Anche. Ma il punto è: la Davis ha perso interesse perché i più forti non giocano o i più forti non giocano perché la Davis ha perso interesse? Ted: Appunto. Io credo che sia la seconda opzione. E drastici cambiamenti non ridaranno prestigio ad una competizione che per il tennis moderno è diventata anacronistica. Se fosse un appuntamento imprescindibile nel calendario, tipo uno Slam, i campioni parteciperebbero in ogni caso. Ma non è così. Se vogliamo parlare di bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno, come dovremmo visto il nome della rubrica, secondo me il bicchiere è quasi vuoto e c’è poco da fare per riempirlo. Bill: Se tu avessi ragione allora qualsiasi cambiamento sarebbe inutile. La Davis è condannata dallo spirito del tempo e non da circostanze che possono essere aggiustate. Se invece fosse la prima opzioni, rendere la partecipazione più agevole per i campioni potrebbe davvero riportare la Davis agli antichi fasti. Io penso che il bicchiere sia mezzo pieno. La Davis non è così moribonda come sembra e alcuni cambiamenti accorti, senza troppi stravolgimenti, potrebbero renderla una competizione di altissimo livello e prestigio, al pari di uno Slam. Ted: E come? Dovresti rendere la partecipazione più agevole per attirare i campioni ed allo stesso tempo convincere il pubblico. Bill: Se la Davis avesse un dispendio di energie paragonabile ad uno Slam, forse i campioni tornerebbero. Ted: Le fatiche di uno Slam ma senza il prestigio di uno Slam. Bill: Una volta che il formato fosse reso tale da garantire un impegno analogo ad uno Slam, l’ITF potrebbe iniziare una campagna di rinnovamento e promozione per ridare prestigio alla Davis ed in pochi anni probabilmente i campioni tornerebbero a giocarla. Pensa all’Australian Open. Sono state condizioni migliori, ad esempio spostarsi sul cemento, montepremi più alti e marketing a riportare il torneo al livello degli altri Slam. Due tra i problemi principali della formula attuale sono settimane e adattamento. Ovvero, il fatto che quattro volte l’anno i giocatori devono cambiare location e superficie per giocare due partite. Quattro settimane sono troppe. I cambi di superficie sono troppi. Limitare questi due problemi sarebbe un inizio dell’inversione di tendenza. Ted: Potresti anche avere ragione, Ma c’è un problema, ovvero che ci sono anche altri fattori ed interessi in gioco. Bill: Ad esempio? Ted: Il principale, anche se spesso taciuto, è che un match di Davis è un grande introito per le federazioni. Molte federazioni minori contano sulla Davis per portare a casa soldi importanti per il budget. Eliminare il weekend di Davis rischia di creare un grande danno economico. Quindi qualsiasi cambiamento dovrebbe tenere in considerazione questo aspetto, che inevitabilmente si scontra con la riduzione del numero di tie durante l’anno. Tanti match distribuiti durante l’anno, varie sedi, vari incontri, sponsor, televisioni, pubblico e soldi sono importanti per le federazioni. Ma questo sistema, logicamente, scoraggia i più forti che non vogliono sprecare energie preziose. Bill: Quindi bisognerebbe rendere lo sforzo di vincere una Davis paragonabile ad uno Slam lasciando intatti gli introiti per le federazioni. Sembra quasi impossibile. Ted: Esatto. Il primo problema, come hai detto tu, sono le date in calendario. La Davis prende quattro weekend durante l’anno. Quei match sono importanti per le federazioni ma quattro date con cambi di superfici e continenti sono troppo per un giocatore di punta. A me pare un conflitto irrisolvibile. Bill: Impossibile salvare capra e cavoli, ma forse qualcosa si può fare. Una sorta di via di mezzo. Ted: Hai un’idea in mente. Te lo leggo in faccia. Bill: Esatto. Ascoltami. Due settimane, come per uno Slam, ma non consecutive. Una settimana in primavera, ad esempio, ed una in inverno. Nella prima settimana ottavi e quarti. Nella seconda settimana semifinali e finale. Cinque sedi in tutto. Nella prima settimana, quattro sedi, quattro squadre per sede, e da ciascuna uscirebbe un semifinalista. Nella seconda settimana, una sola sede per i quattro semifinalisti. Le sedi scelte a rotazione tra le nazioni del World Group, a seconda anche della posizione geografica. Avere match durante l’intera settimana e quattro squadre presenti garantirebbe che gli introiti per ogni incontro sarebbero più elevati, il che potrebbe compensare il minor numero di incontri nel corso degli anni. Ted: E come sarebbero organizzati i tie? Bill: Lunedì, martedì e mercoledì il primo tie, ovvero gli ottavi nella prima settimana e le due semifinali nella seconda settimana; venerdì, sabato e domenica l’ultimo tie, ovvero i quarti nella prima settimana e la finale nella seconda. Ted: Fammi capire. A primavera in una settimana si giocano ottavi e quarti. Ad esempio, guardando il tabellone di quest’anno, in Francia si trovano quattro nazioni: Francia, Olanda, Italia e Giappone. Tra lunedì e mercoledì si giocano Francia-Olanda e Italia-Giappone. Olanda e Giappone vanno a casa a metà settimana e poi tra venerdì e domenica si gioca Italia-Francia. Giusto? Bill: Esatto. E poi a novembre si trovano Francia, Spagna, Croazia e USA per giocarsi il titolo. Ted: In linea di principio un giocatore potrebbe dover giocare 4 singolari e due doppi in una settimana. Bill: Permettere squadre più ampie. Di cinque o sei o anche sette giocatori, in modo da avere gli specialisti del doppio che giochino i doppi. Così facendo un singolarista dovrebbe giocare al massimo otto match in due settimane per vincere la coppa. Quasi come uno Slam. Più realisticamente ne dovrebbe giocare cinque o sei. Ted: Non sembra un’idea così assurda. Tre su cinque? Bill: Tre su cinque. Ted: La collocazione in calendario diventerebbe un punto cruciale, perché con una settimana di match tre set su cinque non si può immaginare di avere la Davis a ridosso degli Slam. Bill: Sono assolutamente d’accordo. Bisognerebbe trovare due settimane sufficientemente lontane dalle altre competizioni, che permettano ai giocatori di partecipare senza compromettere troppo il resto della stagione. Una settimana a fine anno, dopo le ATP Finals, sarebbe ideale, come è già adesso per la finale con il formato attuale. Mentre per ottavi e quarti la primavera, tra Miami e Montecarlo, o l’estate, dopo Wimbledon, potrebbero funzionare. Ted: Non so. Pensi che sarebbe sufficiente? I campioni si lamentano di dover giocare troppi tornei. Aggiungere due settimane di competizioni obbligatorie non sembra una via praticabile. Concedendo una settimana di break tra le ATP Finals e la finale di Davis di fatto si tolgono due settimane di vacanza ai giocatori. Avendo quattro nazioni coinvolte nell’ultima settimana ti troveresti con quattro campioni scontenti invece di due, come succede adesso. Ed ottavi e quarti? Il lasso di tempo tra Miami e Montecarlo è troppo breve per immaginare che un Nadal voli in Australia a giocare ben quattro match sulla lunga distanza. Lo stesso se si collocassero ottavi e quarti dopo Wimbledon, anche per un Nadal sconfitto ai primi turni. Bill: Hai ragione. La soluzione non è ideale e potrebbe funzionare nel contesto di una più ampia riforma del calendario. Non solo per la Davis ma per assicurare un periodo di sufficiente riposo ai tennisti. Secondo me, ci vorrebbero due periodi dell’anno, con almeno otto settimane consecutive, in cui i giocatori possano scegliere di riposare, senza tornei obbligatori. Il che non significa senza tornei in assoluto. Ho qualche idea anche a questo proposito, ma questo è un argomento per un’altra rubrica. Ted: Quindi secondo te la Davis può essere salvata da una riforma che ne preservi lo spirito e riporti i campioni a partecipare? Basterebbero degli aggiustamenti come quelli che abbiamo discusso adesso. Bill: Esatto. Per me il bicchiere è già mezzo pieno e non c’è bisogno di stravolgere del tutto la competizione col rischio di affossarla definitivamente. Ted: Invece secondo me il bicchiere è mezzo vuoto e non c’è modo di riempirlo nel panorama del tennis moderno. Una modifica come quella da te suggerita non attirerebbe i campioni, che già si lamentano di dover giocare troppi tornei ATP. Una rivoluzione come quella voluta dall’ITF distruggerebbe tutto l’appeal della competizione, e non credo che invoglierebbe i campioni a partecipare. L’unica via, secondo me, sarebbe data unica, location unica, una volta ogni quattro anni. Come per le Olimpiadi. Così, pur storcendo il naso, i giocatori verrebbero. Ma ITF e le varie federazioni non accetterebbero mai una simile proposta. Bill: Io spero che tu ti sbagli. Ted: Sono d’accordo che la Davis è una competizione unica per l’atmosfera che si crea. E anch’io spero di sbagliarmi. Ma personalmente non ne sento tanto la mancanza. Durante l’anno aspetto gli Slam. Non mi capita di pensare: ‘Non vedo l’ora che arrivi il weekend di Davis’. E questo, secondo me, è il motivo principale per cui il bicchiere e mezzo vuoto. Bill: Fortunatamente non tutti la vedono come te. Il team, la difesa dei colori nazionali, sono temi che piacciono a molti fan e che nel tennis si trovano solo nella Davis. Per questo credo che esista la possibilità di farla rinascere e per questo vedo il bicchiere mezzo pieno. Il bicchiere mezzo pieno: tutte le altre discussioni di Bill e Ted ...

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