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La maturazione di Jannik Sinner: “Voglio capire, non voglio vivere di rimpianti”-

Jannik Sinner è pronto a prendersi il proscenio in vista delle ATP Finals di Torino al via da domenica 12 novembre. L’altoatesino le affronterà da numero 4 del mondo, come Panatta nel ’76, ma non fate paragoni “gioco per me, non per superare chi mi ha preceduto”. In vista dell’esordio di domenica contro il greco Tsitsipas – che lo ha battuto 5 volte su 7 incontri – Jannik è stato intervistato da Gaia Piccardi per la rivista Sette. Ecco le sue dichiarazioni a proposito dell’ultimo atto di una stagione che, per traguardi ottenuti, è già di per se speciale. CACCIA A DJOKOVIC – Dopo i successi a Pechino e Vienna le cosa rappresentano per Sinner queste Finals? “Il sogno di chiunque. I migliori otto dell’anno, a Torino. Era il mio obiettivo di inizio stagione, l’ho centrato in anticipo. Sono contento: è la conferma di un lavoro che funziona e di una stagione stabilmente ad alto livello. Bisogna anche considerare con quanti tornei ci si qualifica per le Finals, con quali risultati”. A Torino sarà caccia a Nova Djokovic. Ecco per Jannik cosa rende il serbo diverso dagli altri: “Ti ritrovi davanti uno che ha vinto 24 Slam, tre su quattro solo quest’anno. A livello di risultati, il migliore che questo sport abbia mai avuto. Io spero di incontrarlo prima possibile, già nel girone, sono le partite importanti per la crescita, quelle per cui dico: vinco o imparo. Djokovic mi dirà dove sono. Io mi ci sono sentito più vicino quest’anno in semifinale a Wimbledon, pur perdendo in tre set, che l’anno scorso nei quarti, quando avevamo lottato per cinque. Non vedo l’ora. Sono le partite per cui mi alleno tutti i giorni, quelle che mi caricano di pressione”. TENNIS E SCI – Eppure il destino di Sinner pareva essere con degli sci ai piedi. L’idolo era Bode Miller, hippie americano anni luce lontano da lui. “Quando sei giovane, la pensi in modo diverso. Non ero maturo: ero affascinato da questo tipo folle, lui estroverso e io timido (anche se quando conosco le persone, mi apro). Bode era diverso: stravinceva o si schiantava. E io sulla neve gli somigliavo: salivo sul podio o non arrivavo al traguardo. A 12-13 anni ho dovuto scegliere: ero vicecampione italiano di gigante (nello slalom ero negato), lo sci mi ha dato tante cose belle, a cominciare dalla capacità di gestire un vantaggio. Là secondi, nel tennis un break. “A me questa sfida di amministrarmi da solo, decidere per me, esalta – prosegue Sinner. Sono avanti un break? Okay, uso tutte le mie armi per tenermelo, e magari farne un altro. Quando sono stanco chiedo aiuto all’adrenalina, quando sono indietro nel punteggio c’è il tifo che mi spinge. Cerco la forza dove posso trovarla: se quel giorno non sento il rovescio, devo pescare altre risorse. Servizio, slice, dritto… Una specie di caccia al tesoro”. I SACRIFICI DEL SUCCESSO – Certo una persona esigente. Sa anche perdonarsi? “Ho i miei tempi, dipende. Con Alcaraz a New York, quando ho sprecato il match point, sono andato avanti a pensarci un po’. Ma non sono uno che si porta dietro le cose per giorni. Con Shelton a Shangai ho perso alle dieci di sera, c’era un volo per l’Europa all’una e mezza, ho detto: prendiamolo. In aereo già scherzavo con il team: pensa te, ho sbagliato il rovescio sul 4-3, era palla break… E ci siamo messi a ridere. Voglio capire, non voglio vivere di rimpianti”. Una vita subordinata al tennis è una vita di sacrifici, come può riuscirci un ragazzo di 22 anni? “Per il tennis sono andato via di casa a 13 anni. Mi dà emozioni positive e negative, gioie e dolori. Mi dà tutto. Il mio obiettivo non è fare soldi: è diventare la migliore versione di me possibile. Numero uno del mondo? Boh, vedremo. Magari n.4 è il mio limite. Desidero scoprirlo. E per farlo devo dire di no a qualcosa, sennò la stagione diventa interminabile. Quest’anno chiuderò con 22 tornei giocati: meno gare, più blocchi di lavoro. Dicono: Jannik è diventato più muscoloso. Eh, certo… Anziché andare in giro mi sono chiuso in palestra. Solo così si cresce, secondo me». GLI AFETTI – E per quanto riguarda gli affetti, la sua famiglia, gli amici? “Ho una famiglia normale, nel senso che ognuno fa il suo lavoro. Il babbo si svegliava alle 7 di mattina, non si sapeva mai a che ora sarebbe tornato, faceva lo chef nel rifugio: il ristorante non ha orari. La mamma aiutava i nonni a pulire gli appartamenti, poi faceva la cameriera. Quando io tornavo da scuola, il miei non c’erano. Andavo dai nonni, Josef e Maria, a pranzo e a fare i compiti. Mark, mio fratello, è la persona più onesta e vera che io conosca. Quando sono in difficoltà, mi rivolgo a lui. E non ha importanza se non lo sento da giorni, magari parlo più con gli amici che con Mark, però lui mi conosce, e ha sempre la parola giusta. Gli amici più cari sono quelli della scuola, non quelli che si avvicinano ora che sono un top player. A loro se vinco o perdo non gliene frega niente. Mi telefonano e la prima domanda è: come stai? È una cosa che mi tiene ancorato, che mi dà forza”. FELICITA’ E RIMPIANTI – Essersi reso disponibile per giocare le finali di Davis a Malaga è un modo per farsi perdonare dopo Bologna? “Spero di sì. Però sia chiaro: se vedrò difetti nel mio tennis, farò sempre la scelta di migliorare me stesso. Se non sei al top, se scendi di rendimento del 3%, gli altri ti sbranano. Non mi piace commettere lo stesso errore due volte”. A pensarci bene forse un rimpianto, nella sua fin qui giovane carriera, esiste: “Ho avuto fortuna nella vita, però Federer mi manca. Lo accetto, fa parte del gioco. Le partite ufficiali non sono più possibili, magari nel futuro ci affronteremo in esibizione. Però non farei cambio: sono contento di essere un tennista di questo tempo, la nuova generazione offre stili, caratteri, personalità diverse». A 22 anni, qual è il suo sogno di felicità, Jannik?“La salute dei miei. E continuare a vivere la vita che piace a me, anche dopo lo sport. Ci penso: chissà cosa farò, poi? Di certo desidero occuparmi delle cose che posso controllare: la dedizione al lavoro, la programmazione, la mia testa, che mi sto impegnando a conoscere. Il resto, che vada come deve andare. Ma spero di rimanere bambino il più a lungo possibile perché solo i bambini, facendo cose semplici, sanno godersi il momento“. ...

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