You are here

Per aspera ad astra: i tabelloni Slam più complessi dell’Era Open

È possibile quantificare la difficoltà di un tabellone Slam? Probabilmente no. Si possono però fare dei tentativi usando i dati a nostra disposizione, con diversi parametri. Alcuni potrebbero prediligere il numero di set persi (abbiamo la lista già pronta), altri il loro pedigree generico (best ranking, tornei vinti, ecc…). Una scuola di pensiero più raffinata opterebbe per la settorialità dei giocatori incontrati (far fuori Raonic a Wimbledon ha un valore diverso rispetto a fare lo stesso a Parigi), ma purtroppo questa non è più una strada percorribile, dato l’appiattimento delle superfici (sebbene questo trend sembri in remissione nell’ultimo decennio). I tifosi casuali, infine, potrebbero semplicemente dire: se batti uno dei Big Three sei figo, se ne batti due si svuota Carrara per farti un tempio – punto di vista sincronico che ignora mezzo secolo di Era Open ma che nell’ultima decade può aver senso, se si eccettua il fatto che solo Nadal, Djokovic, Del Potro, e Wawrinka hanno completato la seconda operazione, mentre Berdych a Wimbledon 2010 ha affrontato i Big Three al gran completo, immaginiamo con quanto gaudio. Il metodo scelto in questa circostanza è invece una pura e semplice media del ranking degli avversari incontrati durante il torneo, un metodo imperfetto ma che ha il beneficio di premiare chi è stato particolarmente sfortunato nella prima settimana, cimitero degli elefanti di tanti top player lenti ad ingranare. La convinzione di fondo è che dai quarti in poi bisognerà sempre battere dei top player, salvo rare istanze, e che quindi trovare degli avversari ostici in apertura sia un fiore all’occhiello per ogni campione Slam. Saremo onesti: quando abbiamo iniziato questo studio, ci aspettavamo dei risultati completamente diversi. La nostra teoria era che i tabelloni degli anni Novanta, l’era degli specialisti, sarebbero risultati molto più duri, vista la presenza di sole 16 teste di serie, che quindi rendevano possibili scontri fra un top assoluto e il numero 17 al primo o al secondo turno, mentre oggi un Top 8 non può incontrare un giocatore con quella classifica fino agli ottavi. Di conseguenza, pensavamo di trovare percorsi incrostati di Muster, Stich o Rafter nei primi turni, delle vere e proprie vie crucis – e qui torna in ballo il discorso dello specialismo, che andrebbe investigato approfonditamente in futuro – ma non è stato così, anche per le profonde differenze nell’attribuzione di punti dell’epoca, che meriterebbe un discorso a parte. Ciò a cui non avevamo pensato era che l’ampliamento a 32 teste di serie non ha protetto solo i migliori, ma anche la fascia immediatamente sottostante, rendendo più facile il percorso di una tds N.23, per dire, alzando perciò il livello dei potenziali incroci, soprattutto al terzo e al quarto turno. La contingenza di questa safety net è che non ci sono più risacche di tabellone abitate esclusivamente da giocatori di classifica media (diciamo 50-100), che potevano giocarsela senza dover salire di categoria fino agli ottavi. La conseguenza è che gli otto tabelloni più complessi appartengono esclusivamente all’epoca post-Wimbledon 2001, il primo Slam con 32 teste di serie, rafforzando quindi (come se ce ne fosse stato bisogno) la grandezza delle vittorie di Federer, Nadal, e Djokovic, che occupano sette delle prime otto posizioni. Veniamo ai caveat dello studio. Innanzitutto, l’ATP Ranking esiste dal 1973, ma purtroppo le classifiche disponibili sul sito ufficiale non sono complete fino agli Ottanta, perciò pochi tornei hanno dati completi prima di Wimbledon 84, ma va anche detto che gli Slam non avevano lo stesso peso all’epoca, e quindi la media degli avversari incontrati era con ogni probabilità inferiore, con una sola grande eccezione di cui si parlerà in seguito. Secondo, ogni tanto capita di incontrare dei grandi avversari che hanno perso classifica o che sono molto giovani e quindi non se la sono ancora costruita, perciò è difficile quantificarne l’effettiva belligeranza e pericolosità – quello che ho fatto è semplicemente segnare il nome dell’avversario “svalutato” dalla classifica. Terzo, in alcuni casi i futuri vincitori del torneo beneficiano di walk over e/o ritiri: che fare con questi incroci? Escluderli dal conteggio in quanto non-partite o includerli perché sono in ogni caso match per cui il giocatore era comunque pronto a scendere in campo? Abbiamo preferito fare come Ponzio Pilato e segnare entrambi gli score. Quarto, abbiamo considerato il ranking del primo lunedì di ogni torneo, mentre non abbiamo considerato il seed, che appiattirebbe i dati per via delle assenze, e che soprattutto a Wimbledon è stato per anni suscettibile a cambiamenti notevoli – il seed sarà comunque incluso nella lista per dare un minimo di riferimento sulla progressione all’interno del torneo. Infine, questo non è uno studio dei mondi possibili, quindi valuta esclusivamente gli avversari incontrati, e non i potenziali incroci di inizio torneo, perché facendo così avremmo appiattito i dati, per ovvi motivi – così facendo il numero 1 dovrebbe sempre beccare il 2 in finale e viceversa – e perché nello sport l’aspetto performativo è in fondo il più rilevante, pur non essendo generalmente interessante come una sliding door.  Ultimissima cosa, una breve considerazione su un “errore” metodologico che si è preferito non toccare: sette match non sono un grande campione statistico, tutt’altro, e questo significa che basta incontrare il N.250 per falsare tutta la classifica. Avremmo potuto normalizzare i dati più estremi (per esempio bloccando il valore degli avversari peggiori con un valore “calmierato” di 100 o 150), ma abbiamo preferito non farlo per non intaccare la considerazione iniziale sulla difficoltà dell’incontrare grandi avversari nella prima settimana del torneo. LA CLASSIFICA Finito con i distinguo (era anche ora), partiamo dal fondo: quali sono stati gli Slam meno ardui? Ecco la lista di chi ha avuto avversari con un ranking medio superiore al 100, incluso tra parentesi: Mats Wilander all’Australian Open 1984 (135.33);Stefan Edberg all’Australian Open 1987, gli ultimi a Kooyong (126.67);Pete Sampras a Wimbledon 1999 (122.86, dato drogato dal match-up con il N.592 Danny Sapsford, che raggiunse addirittura il terzo turno partendo dalle qualificazioni);Rafa Nadal al Roland Garros 2010 (116.86, dato altresì condizionato dalla presenza del N.653 Gianni Mina, anche se va sottolineato che lo spagnolo non perse neanche un set in quella circostanza e batté 5 tds dal terzo turno in poi, anche se solo una, Robin Soderling, fra le prime 18);Roger Federer a Wimbledon 2004 (102.71, ma va detto che affrontò Thomas Johansson, decaduto alla 188esima posizione ma pur sempre campione Slam 2 anni e mezzo prima e in gara grazie al Protected Ranking);Roger Federer allo US Open 2007 (101.86, ma il N.199 battuto dallo svizzero fu un certo John Isner, di cui avremmo sentito parlare in futuro). Passando ora all’acme, via con una carrellata à la Bleacher Report con le posizioni 20-12: 19 ex aequo. Pat Rafter allo US Open 97 e Roger Federer a Wimbledon 2017 (32.86), anche se va sottolineato che l’australiano batté un Agassi all’epoca cinquantanovesimo (è quindi un dato ancora più clamoroso), e che lo svizzero trionfo all’AELTC senza perdere un set; 18. Stan Wawrinka all’Australian Open 2014 (32.14), con la quisquilia (effettiva) di aver beneficiato del forfait della tds N.28 Vasek Pospisil (se lo escludiamo la media scende a 32.5), e la quisquilia (ironica) di aver battuto Djokovic e Nadal, seppur in modi molto diversi fra loro;17. Ivan Lendl allo US Open 1986 (31.71);16. Pete Sampras allo US Open 1990 (31.29), torneo che lo consacrò come campione più giovane di Flushing Meadows;14 ex aequo. Andy Roddick allo US Open 2003 e Novak Djokovic allo US Open 2015 (31.14), momenti di forma strepitosi per entrambi, con Roddick in fase di kleos come Patroclo facendo la tripletta nord-americana e Nole a suggellare forse la stagione più dominante di sempre;13. Bjorn Borg a Wimbledon 1979 (30.43);12. Rafa Nadal al Roland Garros 2017, vinto senza perdere un set (30.14). LA TOP 10 Ed ecco i migliori dieci, con qualche dettaglio in più: POSIZIONE N.10 (ex aequo): Pat Cash, Wimbledon 1987, e Stefan Edberg, US Open 1992 Media: 29.43; set persi: 1 per Cash, 7 per Edberg; match al quinto: 0 per Cash, 3 per Edberg.Tabellone Cash: M. Freeman, P. McNamee, M. Schapers, G. Forget, M. Wilander (3), J. Connors (11), I. Lendl (2).Tabellone Edberg: L. Mattar, J. Hlasek, J. Svensson, R. Krajicek (15), I. Lendl (9), M. Chang (4), P. Sampras (3). Due trionfi molto diversi quelli dell’australiano e dello svedese, come diversi erano i loro temperamenti. Per Cash questo fu il primo ma anche l’ultimo, a 22 anni: l’anno successivo avrebbe perso in cinque set la prima finale australiana sul cemento contro Wilander, e da lì iniziò un’infinita striscia di infortuni che di fatto chiuse la sua carriera ad alti livelli. Un vero peccato, perché una personalità e un gioco come il suo sarebbero potuti stare sulle vette del tennis mondiale per il lustro successivo, come testimoniato da quello Wimbledon dominato, al termine del quale “inventò” la scalata della tribuna per celebrare la vittoria. Per Edberg, quello di New York fu invece l’ultimo Slam vinto, prima che la schiena lo abbandonasse del tutto e prima che il suo tennis di fioretto diventasse anacronistico, nonostante i miglioramenti da fondo testimoniati dalle quattro finali Slam consecutive sul cemento che Stefan raggiunse fra New York ’91 e Melbourne ’93. Che sofferenza quella vittoria per Ala d’Angelo (come lo ribattezzò Gianni Clerici), con tre match al quinto e quattro campioni Slam battuti in quella che è l’unica stagione di sempre con dieci campioni Slam su dieci a comporre la Top 10 – all’epoca non tutti ne avevano vinti, ma a posteriori è così. POSIZIONE N.9: Jimmy Connors, US Open 1974 Media: 28.14; set persi: 4; match al quinto: 0.Tabellone: J. Borowiak, O.N. Bengston, J. Alexander, J. Kodes (12), A. Metreveli (13), R. Tanner, K. Rosewall (5) Jimmy Connors vinse a Forest Hills completando l’ultimo Grass Slam, dopo le vittorie a Kooyong e Wimbledon che lo consacrarono nell’ultimo anno con 3 Slam su erba – l’anno dopo l’US Open sarebbe passato all’Har-Tru. Jimbo distrusse per la seconda volta in 2 mesi Ken Rosewall, metonimie di quella che fu la stagione del passaggio dall’analogico al digitale nel tennis, data la vittoria di un altro bimane, Bjorn Borg, a Parigi, eventi che lasciarono presagire dei cambiamenti che sarebbero esplosi nella decade successiva e figli di entrambi. POSIZIONE N.8: Novak Djokovic, Wimbledon 2015 Media: 27.86; set persi: 3; match al quinto: 1.Tabellone: P. Kohlschreiber, J. Nieminen, B. Tomic (27), K. Anderson (14), M. Čilić (9), R. Gasquet (21), R. Federer (2) Altro Wimbledon altro giro altro regalo, verrebbe da dire, con Djokovic nel bel mezzo della sua stagione più dominante (anche se a mio parere il Djokovic della prima metà del 2011 aveva uno strapotere superiore da fondo) che vince in maniera abbastanza confortevole, se non per un grande spavento, l’ottavo di finale contro Kevin Anderson, rimontato da 2 set di svantaggio in seguito ad interruzioni per buio (al termine del quarto) e pioggia. POSIZIONE N.6 (ex aequo): Roger Federer, Australian Open 2007, e Novak Djokovic, Wimbledon 2014 Media: 27.71; set persi: 0 per Federer, 6 per Djokovic; match al quinto: 0 per Federer, 2 per Djokovic.Tabellone Federer: B. Phau, J. Bjorkman, M. Youzhny (25), N. Djokovic (14), T. Robredo (7), A. Roddick (6), F. Gonzalez (10)Tabellone Djokovic: A. Golubev, R. Štěpánek, G. Simon, J.-W. Tsonga (14), M. Čilić (26), G. Dimitrov (11), R. Federer (4) Ancora un parimerito, e pure con incrocio. Per certi versi, la vittoria di Melbourne fu il culmine di Federer, in coda alla sua miglior stagione e senza perdere un set (unico della Top 10), perché, mentre anche nel 2007 fece la tripletta anglo-sassone, iniziarono ad arrivare alcune sconfitte in più (Guillermo Cañas, anyone?), ma è difficile pensare che sia esistito un tennista migliore del Federer 2004-2007 sulle superfici veloci. In questo torneo ebbe peraltro luogo la sua ultima vittoria a Melbourne contro Djokovic, all’epoca 19enne di belle speranze e prossimo alla sua prima finale Slam. Dall’altra parte, la vittoria di Nole a Wimbledon 2014 è un grande viatico, per vari motivi: innanzitutto perché gli consentì di tornare N.1 del mondo per più di 2 anni, superando Nadal sconfitto da un 19enne un po’ spaccone di nome Nick Kyrgios; poi perché la vittoria nei quarti su Cilic, ancorché netta, certificò il ritorno del croato e per certi versi vaticinò la sua vittoria a New York 2 mesi dopo; e soprattutto perché nella mente di chi scrive la finale con Federer rimane la partita più spettacolare di sempre, dal punto di vista tecnico, più ancora di quella dello scorso luglio. POSIZIONE N.5: Novak Djokovic, Australian Open 2013 Media: 27.29; set persi: 4; match al quinto: 1.Tabellone: P.H. Mathieu, R. Harrison, R. Stepanek (31), S. Wawrinka (15), T. Berdych (5), D. Ferrer (4), A. Murray (3) Reduce da quella che probabilmente fu la vittoria Slam più faticosa di sempre (nel 2012 gli ci erano volute 11 ore per aver ragione di Murray e Nadal), Djokovic vinse il suo terzo Australian Open di fila (e quarto in totale) mettendo in fila un notevole nugolo di avversari, anche se, come a Wimbledon 2015, la prova più ardua si svolse al quarto turno, quando Stan Wawrinka, che aveva appena investito i franchi meglio spesi della sua vita assumendo Magnus Norman, lo portò vicino al limite, arrendendosi per 12-10 al quinto set dopo averlo letteralmente scherzato per un set abbondante, anticipando le performance che si sarebbero rivelate il peggior incubo del serbo negli anni a venire. In finale, Djokovic incontrò per la seconda volta in pochi mesi Andy Murray, che però resistette per due soli set dopo la sua unica vittoria Slam su Federer, in un match al quinto piuttosto duro. POSIZIONE N.4: Juan Martin Del Potro, US Open 2009 Media: 26.57; set persi: 4; match al quinto: 1.Tabellone: J. Monaco, J. Melzer, D. Köllerer, J.C. Ferrero (24), M. Čilić (16), R. Nadal (3), R. Federer (1) Se il rimpianto avesse un volto, sarebbe quello mite e nostalgico di Palito, che alla fine del 2009 sembrava poter raggiungere il livello dei più forti, come dimostrato dal trionfo newyorchese che suggellò il suo splendido sodalizio con il pubblico della Grande Mela, che impazzisce a ogni dritto tanto potente e piatto da proseguire rettilineo dopo aver a malapena sfiorato il Deco Turf. Raramente si è visto un Nadal dominato come in quel triplo 6-2 con cui l’assonometria di Delpo sezionò le curve mancine di Rafa, prima della rimonta su Federer in finale che vendicò la sconfitta al fotofinish della semifinale di Parigi del maggio precedente. Di lì a poco sarebbero iniziati i problemi ai polsi, ma per fortuna l’argentino è riuscito a consegnarsi in tempo all’immortalità tennistica. POSIZIONE N.3: Novak Djokovic, Australian Open 2011 Media: 25.86, 25.667 se si esclude il ritiro di Troicki al terzo turno dopo un set; set persi: 1; match al quinto: 0.Tabellone: M. Granollers, I. Dodig, V. Troicki (29, ritiro), N. Almagro (14), T. Berdych (6), R. Federer (2), A. Murray (5) Mentre l’OPA di Del Potro al vertice del tennis fu di breve durata, quella lanciata da Nole nel gennaio del 2011 ebbe un impatto più duraturo, tanto duraturo da non poter stabilire con certezza quando finirà. Ricordo ancora l’articolo della Gazzetta che vaticinava l’epoca di Djokovic e Murray alla vigilia della finale, predicando incertezza e teleologia nell’esito del match – e da tifoso di Murray chi scrive avrebbe tanto voluto crederci, soprattutto a Melbourne e contro il serbo. La verità è che Djokovic perse un set al secondo turno e da lì procedette a coventrizzare gli avversari, sdraiando buona parte della nobiltà ATP in 3 set, e procedendo a vincere ogni singola partita da lì a giugno, cambiando per sempre la dialettica del tennis degli anni Dieci. POSIZIONE N. 2: Roger Federer, Australian Open 2010 Media: 22.43; set persi: 2; match al quinto: zero.Tabellone: I. Andreev, V. Hănescu, A. Montañés (31), L. Hewitt (22), N. Davydenko (6), J.-W. Tsonga (10), A. Murray (5) Riavvolgiamo le lancette di un anno. Questa fu la terza vittoria in quattro Slam per Federer, che divenne il secondo uomo a detenere nello stesso momento tre titoli Major su tre superfici diverse, a un anno di distanza dalle lacrime dopo la finale persa con Nadal (la terza su quattro Slam su tre superfici diverse, nondimeno), e, in un momento in cui lo spagnolo sembrava indirizzato verso il calo fisico tipico del tennis pre-iperprofessionismo e pre-prevenzione magica e gli altri rivali non parevano competitivi, l’idea era che i 16 Slam dello svizzero sarebbero aumentati più in fretta del nostro debito pubblico. Invece quella fu probabilmente la fine del Federer autocratico, visto che passarono due anni e mezzo prima della vittoria Slam successiva, ma fu anche l’inizio della sua versione più umana. Per Andy nostro fu invece la prima di cinque sconfitte in finali australiani, tutte purtroppo abbastanza nette. POSIZIONE N.1: Rafael Nadal, Roland Garros 2013 Media: 22.29; set persi: 4; match al quinto: 1.Tabellone: D. Brands, M. Kližan, F. Fognini (27), K. Nishikori (13), S. Wawrinka (9), N. Djokovic (1), D. Ferrer (4) Non ha avuto molto spazio in questa classifica, ma Rafa si prende il gradino più alto del podio con la sua ottava vittoria parigina, anche se sulla terra la sensazione è che l’avversario abbia un impatto relativo sull’esito finale. In realtà, Nadal non partì benissimo in quell’edizione, lasciando set per strada nei suoi primi match, ma raggiunse l’apice della forma al momento giusto, e che momento: la semifinale con Djokovic è ampiamente considerata la più grande partita mai giocata sulla superficie, vinta 9-7 al quinto anche grazie alla famigerata invasione di Djokovic, prima di esprimere il suo miglior tennis da cemento nell’agosto successivo. È quindi giusto, per quello che vale la giustizia poetica, che il Roland Garros più complicato per lui sia anche stato quello con gli avversari mediamente più forti, non solo della sua carriera, ma di tutta l’Era Open. ...

Related posts

Leave a Comment

shares