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Pete Sampras, la storia prima dei Big 3

Ha compiuto 50 anni colui che, prima di Federer, Nadal e Djokovic, ha fatto la storia del tennis mondiale. Pete Sampras è stato il più grande di tutti tra l’addio di Rod Laver e l’arrivo di Roger. Un campione che si è fatto amare da tutti, nonostante un carattere timido e poco adatto al ruolo di star. Ha compiuto 50 anni e ormai col tennis attuale ha davvero poco a che fare. Ma la storia di questo sport, prima che arrivassero Roger Federer, Rafael Nadal e Novak Djokovic, era lui. Pete Sampras, proprio in questo periodo dell’anno, diventava il protagonista assoluto e l’incubo degli avversari. Tra Wimbledon (sette trionfi) e Us Open (cinque) si è costruito gran parte del suo bottino, quei 14 Slam che all’epoca parevano un’impresa difficilmente battibile, almeno in tempi brevi. L’ultimo Major, a New York nel 2002, ha rappresentato pure il suo passo d’addio: era l’8 settembre, tre giorni più tardi l’America avrebbe solennemente celebrato il primo anniversario del più grave attacco terroristico della sua storia, ma quel giorno gli occhi dei connazionali, così come di tutti coloro che amavano il tennis in giro per il mondo, erano soltanto per lui. AGASSI IL PIÙ GRANDE RIVALE Da allora sono passati meno di due decadi e Sampras è addirittura sceso dal podio dei più vincenti di ogni epoca. Un’ipotesi che, fino all’approdo nel circuito dei Big 3, pareva destinata a rimanere tale molto a lungo. Uno dopo l’altro, invece, sono caduti tutti i record di un fenomeno che in ogni caso è stato in grado di emozionare e di cambiare il tennis, insieme a quello che è stato il suo più grande rivale, Andre Agassi. Pete non spiccava per un carisma straordinario, soprattutto a inizio carriera. Ma per lui parlava il campo. Parlava quel servizio devastante, spesso in grado di lasciare gli avversari letteralmente senza risposte. Parlava quel diritto così classico, così perfetto, esteticamente impeccabile e al tempo stesso implacabile: arma ideale per distruggere ogni ambizione altrui. Col tempo, imparò a farsi voler bene, imparò a essere espressivo quel tanto che bastava a prendersi un applauso in più, anche nei momenti di difficoltà. Ma in fin dei conti restava sempre fedele alla sua natura timida e schiva. La sua contrapposizione con Agassi era anche caratteriale, oltre che tecnica: da una parte c’era il Kid di Las Vegas che cercava di stare costantemente sopra le righe, dall’altra c’era lui che avrebbe fatto volentieri a meno di prendersi i riflettori, se solo avesse potuto. Non fu un duello esclusivo, al tempo c’erano altri nomi importanti che puntavano a prendersi gli Slam, ma fu il duello emotivamente più esaltante, per loro e per chi li guardava. IL RIMPIANTO DEL ROLAND GARROS Qualche rimpianto, in una vita sportiva pressoché impeccabile, gli è rimasto. Per esempio, non aver mai vinto il Roland Garros, dove come miglior risultato ha una semifinale (nel 1996) e dove ha raccolto alcune delle sconfitte più cocenti della sua carriera. Del resto, la terra non faceva per lui, e lui (forse, giustamente) non ha mai cercato di snaturare la sua tecnica per renderla più efficace sul rosso. Del resto quella era ancora l’epoca delle superfici parecchio diverse, del veloce davvero veloce e della terra davvero lenta. Da una parte vincevano i Sampras, i Becker, i Rafter; dall’altra trionfavano i Muster, i Bruguera, i Kuerten. L’omologazione di campi e palline era lontana e le diversità di approccio alla materia tennis erano considerate una ricchezza del circuito. Resta però, in tutto questo, una domanda importante: nelle condizioni attuali, dunque più rapide, Sampras avrebbe potuto vincere a Parigi? Non che lui se ne faccia un gran problema, in realtà. Pistol Pete ha sempre dimostrato grande serenità, tanto nel corso della carriera, quanto nel post. Nessun ripensamento, nonostante il ritiro a soli 31 anni, nessun rimpianto e nessuna intervista rivelatrice di chissà quali retroscena. Quando lo abbiamo rivisto, è stato per alcune esibizioni, anche pepate a volte (come quella con Agassi, Federer e Nadal nel 2010), ma pur sempre dispensate col contagocce, senza eccedere. Che se c’è uno che non ha mai voluto eccedere in nulla, questo è proprio lui. Ha anche sofferto, il figlio di Soterios e Georgia, entrambi di origine greche. Ha sofferto per una forma di anemia, per fortuna non tale da mettere in pericolo la sua carriera. Ha sofferto per la morte di Tim Gullickson, uno dei suoi coach, venuto a mancare troppo presto. Ha sofferto forse per via delle troppe attenzioni dedicate a un fenomeno timido, poco adatto a recitare da leggenda. L'articolo Pete Sampras, la storia prima dei Big 3 proviene da WeAreTennis. ...

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