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Quando Davide batte Golia (Scanagatta). Fabbiano, sei tu il gigante! (Semeraro). Piccolo grande Fabbiano fa crollare la montagna (Crivelli). Fabbiano, lezione al futuro (Azzolini). II maratoneta Seppi (Sisti)

Quando Davide batte Golia. È la “favola” di Fabbiano (Ubaldo Scanagatta, Giorno – Carlino – Nazione Sport) Sissignori, il vero gigante è lui, l’ex ragazzino di San Giorgio Ionico oggi quasi trentenne. Quando, una dozzina di anni fa, centrò la semifinale junior all’US Open in molti pensarono che non avrebbe mai sfondato da professionista. Era troppo piccolo. Il suo metro e 73 sembrava un handicap insuperabile. Il tennis non era più quello dei piccoletti di talento, i Laver, i Rosewall. I top-ten erano tutti 1 metro e 85 o più. Il suo stesso talento naturale veniva messo in discussione. Pareva inferiore a quello dell’altro junior che in quell’US Open junior aveva raggiunto lo stesso traguardo, Matteo Trevisan. Per l’avvenire del ragazzino pugliese, pur determinatissimo fin dai primi passi con racchetta, non si era invece sbilanciato nessuno. Ma nel tennis testa, intelligenza, solidità mentale, grinta, possono valere più di un colpo formidabile, di un fisico da marcantonio. Sconfiggere un bestione (più che una giraffa) di due metri e 11 cm come lo yankee della Florida Reilly Opelka, 21 anni e giustiziere al primo round dell’altro gigante John Isner (solo 3 cm più basso), è stata una vera impresa per Thomas Fabbiano. Era entrato all’ultimo tuffo in tabellone. Questa settimana è n.102. Ora eccolo al terzo turno di uno Slam per la terza volta. 38 centimetri in più d’altezza e ben 67 ace (non è un refuso: 67 è il quinto bottino di sempre di ace dopo i 113 di Isner contro i 103 di Mahut nel celebre match più lungo della storia del tennis (70-68 al quinto, Wimbledon 2010) e poi i 78 e i 75 messi a segno da Ivo Karlovic, l’altro pivot con racchetta di 2m e 11 cm. Intanto Fabbiano ha scongiurato la maledizione del quinto set che aveva colpito Cecchinato (Krajinovic), Vanni (Carreno Busta) e ieri anche Travaglia con Basilashvili (3-6 6-3 3-6 6-4 6-3 in 2h e 54 m). Primo e terzo set ci avevano illuso. Ma il georgiano è n.20 ATP. L’exploit di Fabbiano che a Wimbledon 2018 aveva colto la più bella vittoria di sempre sullo svizzero Wawrinka campione di tre Slam, è stato coronato dal long-tiebreak decisivo del quinto set e nonostante un primo set perso pur avendo avuto 5 set point (ma sul servizio imprendibile di Opelka): 6-7 (15-17) 6-2 6-4 3-6 7-6 (10-5) il punteggio. Insomma 47 punti giocati in due tiebreak. Se il torneo non avesse introdotto il tiebreak al quinto set, eravamo ancora lì. Fabbiano, sei tu il gigante! (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport) La Grande Gioia sta a quota -38, per arrivarci serve un’immersione di 3 ore e 32 minuti. Pochissimo movimento («Avrò fatto in tutto un chilometro»), ma concentrazione assoluta per evitare le bombe di profondità sganciate dai 2 metri e 11 di yankee di Reilly Opelka, 21enne made in Michigan. Alla fine a spuntarla è stato il palombaro Thomas Pabbiano, da Grottaglie, provincia di Taranto, emerso vincitore dopo cinque set di apnea dal suo metro e 73 di fosforo e tenacia. Davide contro Golia è un classico, l’astuzia di Ulisse nel mito la spunta sempre contro la forza (cieca) di Polifemo, ma ultimamente nel tennis la vita per gli under 180, intesi come centimetri, si è fatta dura. Tocca inventarsi qualcosa per evitare di essere inchiodati da sassate che arrivano a 220 chilometri all’ora e rimbalzano in tribuna. «Non avevo mai affrontato un servizio del genere», dice Tommy, da ieri virtualmente numero 84 del mondo. «Ho dovuto stare concentratissimo, subire all’inizio senza farmi prendere dalla frustrazione, senza lamentarmi le ho provate tutte: alla fine ho deciso di mettermi sul corridoio, costringendolo così a tirare dove volevo io». Di ace il ciclopico ma agilissimo (per la sua altezza) Reilly ne ha piazzati 67 in 23 game di servizio, 3 anche con la seconda, con un differenziale di +65, rispetto ai miseri 2 di Fabbiano, che entra di diritto nel libro delle statistiche. Ha battuto il record precedente di differenziale che apparteneva a Karlovic (78 a 18 contro Stepanek in Coppa Davis) ma non è riuscito ad affondare l’u-boot azzurro. Il primo set set è finito all’americano, 17-15 al tie-break, Thomas però è stato bravo ad approfittare del calo di tensione strappandogli il secondo e il terzo; nel quarto ha subìto, nel quinto si è giocato come il più consumato dei rigoristi il super-tiebreak a 10: parando le mazzate dell’avversario, angolando le traiettorie e lasciando all’esausto Reilly appena due punti. Il belga Olivier Rochus, 1 metro e 63, fra il 2005 e il 2008 giocò tre volte contro Ivo Karlovic, 2 metri e 11, in quello che è stato probabilmente il match più squilibrato (in centimetri) della storia, spuntandola in due occasioni. E sempre contro Doctor Ivo, nel 2014, il grande – in autoironia più che in altezza Dudi Sela (1,75) salì su una sedia per stringergli la mano e abbracciarlo a fine partita. Ma in passato erano i pivot di oltre due metri prestati al tennis ad essere l’eccezione; oggi sono le stature medie a rappresentare l’eccezione […] Opelka al primo turno era riuscito a sgambettane l’altro gigante americano, John Isner (211 cm), scendere così tanto di quota deve avergli fatto venire i capogiri; Fabbiano alla vigilia invece aveva scherzato su un possibile allenamento con Karlovic, reduce dalla troposferica finale di Pune contro Anderson (4 metri e 15 in due). In realtà ha dovuto accontentarsi dei 185 centimetri di Simone Bolelli, «….e no, non l’ho costretto a salire sulla sedia». Al terzo turno – il terzo in carriera negli Slam dopo US Open 2017 e Wimbledon 2018 – gli tocca Grigor Dimitnov, ex Top Ten, oggi numero 21 e Maestro a Londra due anni fa, che di centimetri ne ha comunque una ventina in più. «Non voglio ripetere gli errori che ho commesso, dopo aver battuto Wawrinka a Londra, nel gestire la partita successive», dice Tommy. I bookmaker danno a 7,50 un’altra sua impresa. Il bel Grisha farà comunque meglio a non sottovalutare il Piccolo Maestro pugliese, e la sua saggezza antica. Davide batte Golia. Piccolo grande Fabbiano fa crollare la montagna (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport) Se non puoi batterlo con la forza bruta, sorprendilo con l’intelligenza. Piovono meteoriti sull’impassibile Fabbiano, 67 ace infuocati (5° di sempre) che Opelka, il gigante del Michigan, scarica sul match dall’alto dei suoi due metri e undici, cui vanno aggiunti l’estensione del braccio e quella della racchetta. La montagna contro il topolino, l’inossidabile Thomas (un vezzo per modernizzare il nome del nonno), figlio dell’ex sindaco e medico condotto di San Giorgio Jonico, che a malapena arriva a 1.73 (dunque, 38 centimetri di differenza con l’avversario) e potrebbe uscire stravolto dal bombardamento. Macché. In una partita lunare, come era prevedibile, dove si gioca ogni scambio su uno o due colpi al massimo, l’eterna promessa ormai diventato uomo prossimo ai trent’anni ci mette la testa e finisce per inceppare il bazooka dell’americano. Innanzitutto, non crolla mentalmente dopo aver perso il tie break del primo set a 15 sprecando un vantaggio iniziale di 4-0, un’occasione sciupata sanguinosa contro un rivale che alla battuta sostanzialmente non ti fa vedere la palla. E poi, come una tignosa formichina, si industria finalmente a leggere le traiettorie dei missili yankee, mentre quando serve tiene dentro l’80% di solide prime, impedendo al ragazzone di forzare la risposta non avendo nulla da perdere. Eppure non basterebbe, senza il capolavoro del quinto set, nel cuore e nella carne di un super tie break da affrontare dopo più di tre ore di martellate e che il piccolo grande Tomasino racconta così: «Non ci ho capito nulla dall’inizio alla fine e nemmeno dopo, ripensandoci. Ma nel tie-break decisivo da sinistra sono riuscito a rispondergli alla prima e a fargli due punti, mi sono messo esterno a aspettare la palla, verso il corridoio, mi sono detto “se vuoi farmi ace lo fai al centro” e magari gli ho tolto qualche punto di riferimento». Chapeau. Il colpo che apre le porte al trionfo è il passante di rovescio che gli garantisce il primo mini break per il 4-2: da lì, Fabbiano non si volterà più indietro, conquistando il terzo turno di uno Slam per la terza volta (Us Open 2017 e Wimbledon 2018 i precedenti). Non era mai accaduto che un giocatore vincesse una partita con un così ampio disavanzo negli ace (67 a 3, praticamente 14 game a zero), un’esperienza mistica che il numero 102 del mondo (ma adesso è già almeno 84 e con 98.000 euro in più sul conto corrente) non vorrebbe comunque più ripetere: «C’è voluta tanta concentrazione a rimanere lì, ho ingoiato tutto senza farmi prendere dalla frustrazione, senza lamentarmi, e non è stato facile. Se il tennis fosse sempre così non lo seguirei, ma nemmeno lo giocherei, a un certo punto non è più sport. No, non ho potuto allenarmi con Karlovic, ho scambiato un’ora con Bolelli e non l’ho fatto salire su una sedia…» […] Anisimova & co. Le ragazze terribili del nuovo millennio (Federica Cocchi, Gazzetta dello Sport) La next gen si declina anche al femminile. A Melbourne cinque tenniste tra i 16 e i 18 anni si sono qualificate al secondo turno e una, la 17 enne Anisimova, è già approdata al terzo. È lei l’osservata speciale di questo gruppo di ragazzine terribili. Passaporto americano, nata a Freehold, New Jersey, da genitori moscoviti, ha iniziato a giocare quando aveva appena 2 anni per seguire le orme della sorella più grande, Maria. Papà Konstantin Anisimov e la moglie Olga si sono trasferiti negli Stati Uniti nel 1998 per cercare condizioni di vita migliori. Invitata da dei parenti di Olga, la famiglia si è subito trovata bene scegliendo di trasferirsi negli States dove è nata la figlia più piccola, Amanda. In precedenza la famiglia aveva pensato di trasferirsi in Spagna, altra patria «tennistica», ma Konstantin non si è sentito a proprio agio: «In Europa ti trattano sempre come uno straniero, negli Usa c’è gente di tutto il mondo, l’accoglienza è migliore, è un posto dove tutti possono avere un’opportunità». E così è stato, soprattutto per la piccola della famiglia, che a 7 anni ha iniziato a fare sul serio e adesso, a 17 e mezzo, è già numero 87 del mondo. A Melbourne Amanda è arrivata al terzo turno battendo Monica Niculescu all’esordio e poi Lesia Tsurenko, ucraina numero 24 del ranking. «Voglio diventare numero 1 al mondo – ha sempre detto Amanda dal suo metro e ottanta di altezza – e non è affatto un sacrificio girare per il mondo, perché mi piace molto quello che faccio» […] Prima volta al terzo turno. Fabbiano, lezione al futuro (Daniele Azzolini, Tuttosport) Trentotto centimetri più sotto ci sta Thomas Fabbiano. Nella foto finale il nostro è quello di lato, seminascosto da Reilly Opelka, un due metri e undici che pare un armadio a tre ante. Da lì, avere un punto di vista sul tennis ti obbliga necessariamente a guardare verso l’alto, e per quanto scomoda, la situazione offre utili spunti di riflessione. Il primo è sul tennis del futuro, popolato da uomini grandi come case, un tennis alieno, scosso da sassate che vengono dall’alto, dalle quali prima di tutto è necessario mettersi al riparo. Il secondo è la necessità di trasformarsi da tennisti che corrono in tennisti che scalano. Trentotto centimetri, secondo la “Scala Isner” che misura la cosiddetta magnitudo, cioè il valore dell’energia che si sprigiona in ogni colpo a partire dall’ipocentro (da cui parte la palla) e ne valuta l’intensità, si traducono in una differenza di 65 ace, 67 a 2 per la precisione. Il terzo riguarda l’obbligo di modificare la propria strategia. Allo scoccare della terza ora di gioco, Thomas era convinto in cuor suo di aver percorso poco più di 200 metri. Tanti scatti brevi, spesso inutili, mentre il tennista-scalatore sa che la regola fondamentale, il colpo di piccozza utile a issarsi quel tanto più su, viene dal rimettere in gioco la palla, purché sia. Sarà l’alieno a quel punto a chiedersi che cosa fare con quella sfera che torna indietro e comincerà ad assumere strane configurazioni per ribatterla a sua volta, le gambe troppo lunghe s’incroceranno, il busto troppo rigido lo sbilancerà, i muscoli troppo sviluppati la scaglieranno chissà dove. Un utile consiglio per gli spettatori della prima fila? Munirsi di scudi, odi elmetti. Infine, l’ultima considerazione… Nella foto finale, è il nostro Thomas a esultare, per quanto semi nascosto, e non l’armadio. Significa che c’è vita intorno al tennis del futuro, e c’è speranza. Non sarà una palestra per alieni spropositati, e non si vedranno solo servizi a velocità spaziali, controllabili esclusivamente dai radar dei centri ufologici nazionali. Significa che si potrà ancora fare a meno di quei 38 centimetri mettendo in campo altre cose. Come ha fatto Fabbiano, passato sotto la tutela del Centro Piatti a Bordighera. Ha causato danni irreparabili nel tennis di Reilly Opelka una rispostina in chop, che il nostro ha eseguito opponendo giusto la racchetta a quei missili forsennati. Su quella Thomas ha costruito il proprio gioco, cercando subito di far correre Opelka, incapace di reggere oltre il quarto scambio […] «Sarebbe stato tutto perfetto semi fossi anche divertito. Ma con quel tennis, non ci riesco. Anzi, se il tennis fosse questo, forse non lo seguirei, e nemmeno lo giocherei. Non mi piace e non mi appassiona». Ora c’è Dimitrov. «Non voglio fare gli stessi errori di Wimbledon, quando ho trascorso il giorno di riposo allenandomi come un pazzo. Farò il giusto, giocherò tranquillo» […] Il maratoneta Seppi: riposo e amore per giocare 55 Slam (Enrico Sisti, Repubblica) «Per andare avanti non ho altra scelta che…». Poco meno di tre anni fa sembrava proprio che Andreas Seppi si fosse piegato al destino, ovviamente cinico e ovviamente baro, e avesse accettato di entrare in sala operatoria, che è uno di quei “grandi traguardi” che ad un certo punto appaiono all’orizzonte fra gli eccessi fisicamente distruttivi ed economicamente remunerativi dello sport moderno. In realtà Seppi, 35 anni il prossimo 21 febbraio, appena approdato al terzo turno dell’Australian Open dopo aver battuto Thompson, stava affermando l’esatto contrario. La sua era una decisione in controtendenza, quasi rivoluzionaria, era una specie di rivolta: «Non mi opero, non se ne parla». Il contrario di Murray per non finire come Murray. Anche Seppi soffriva e soffre di un problema all’anca. L’anca è una maledizione, quando dice basta e lo dice a modo suo devi solo ascoltarla. Non sempre esiste un rimedio. Per allungarsi la carriera Seppi ha capito che il toro non andava preso per le coma, che era possibile aggirare la seduzione del bisturi. Si è consultato, si è angosciato. «E alla fine abbiamo optato per la terapia conservativa e rigenerativa». Nessuna certezza, solo buon senso. Che ha ripagato. E così Andreas, che con l’Australian Open del 2019 ha staccato il suo 55° ticket consecutivo ad uno Slam, circa due volte all’anno si ferma per un mese, a volte qualcosa di più: la chiamano infiltrazione ma è qualcosa di diverso e qualcosa di più. Sono i celebri fattori di crescita, ti prelevano il sangue, te lo centrifugano in modo che piastrine e plasma si dividano e ti iniettano nella zona sofferente una siringa giallastra del tuo stesso siero. Il tutto una o due volte a distanza di una decina di giorni. In quel periodo è consigliabile, se non proprio obbligatorio, stare fermi. Per sopravvivere bisogna insomma un po’ morire, per allungare bisogna un po’ rallentare. Più dell’intervento chirurgico a Seppi è servito l’intervento psicologico. Più della ricostruzione in artroscopia è servito il ragionamento sull’età che avanza. Come tutti gli adulti saggi Seppi apprezza ora il valore dello sforzo quanto quello del riposo. Sa che per giocare più a lungo non può più giocare sempre. Seppi è una scultura vivente. Non sembra quasi mai soffrire le emozioni. E ciò farebbe supporre che non ne prova […] Quando nel gennaio del 2015 divenne il quinto italiano a battere Federer (dopo Pozzi, Sanguinetti, Gaudenzi e Volandri), ma il primo in assoluto in una partita dello Slam, accadde proprio a Melbourne, pareva che si fosse appena liberato da un ingombro. Contento sì, ma non abbastanza per cominciare a zompettare su e giù per il campo. Ha sorriso, ha allargato le braccia. Stop. Seppi è così. Per questo dura nel tempo. Perché ha qualcosa del riserbo orientale di Nishikori, sa carpire i segreti dai suoi maestri e soprattutto dal suo coach Max Sartori (ma anche da Piatti) e vince anche quando perde. L’amore per sua moglie gli ha insegnato ad aprirsi un po’, ma è cosa relativamente recente (si è sposato nel 2016 con Michela Bernardi). Andreas è una statua di talento capace di rimandare dall’altra parte della rete palline anche dopo scambi di venti colpi a testa. E oltre a Federer ha sconfitto anche Nadal. Unico azzurro della storia ad aver vinto tornei su tutte e tre le superfici, terra, erba cemento, eppure di lui si continua a parlare poco, troppo poco […] ...

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Quando Davide batte Golia. È la “favola” di Fabbiano (Ubaldo Scanagatta, Giorno – Carlino – Nazione Sport) Sissignori, il vero gigante è lui, l’ex ragazzino di San Giorgio Ionico oggi quasi trentenne. Quando, una dozzina di anni fa, centrò la semifinale junior all’US Open in molti pensarono che non avrebbe mai sfondato da professionista. Era troppo piccolo. Il suo metro e 73 sembrava un handicap insuperabile. Il tennis non era più quello dei piccoletti di talento, i Laver, i Rosewall. I top-ten erano tutti 1 metro e 85 o più. Il suo stesso talento naturale veniva messo in discussione. Pareva inferiore a quello dell’altro junior che in quell’US Open junior aveva raggiunto lo stesso traguardo, Matteo Trevisan. Per l’avvenire del ragazzino pugliese, pur determinatissimo fin dai primi passi con racchetta, non si era invece sbilanciato nessuno. Ma nel tennis testa, intelligenza, solidità mentale, grinta, possono valere più di un colpo formidabile, di un fisico da marcantonio. Sconfiggere un bestione (più che una giraffa) di due metri e 11 cm come lo yankee della Florida Reilly Opelka, 21 anni e giustiziere al primo round dell’altro gigante John Isner (solo 3 cm più basso), è stata una vera impresa per Thomas Fabbiano. Era entrato all’ultimo tuffo in tabellone. Questa settimana è n.102. Ora eccolo al terzo turno di uno Slam per la terza volta. 38 centimetri in più d’altezza e ben 67 ace (non è un refuso: 67 è il quinto bottino di sempre di ace dopo i 113 di Isner contro i 103 di Mahut nel celebre match più lungo della storia del tennis (70-68 al quinto, Wimbledon 2010) e poi i 78 e i 75 messi a segno da Ivo Karlovic, l’altro pivot con racchetta di 2m e 11 cm. Intanto Fabbiano ha scongiurato la maledizione del quinto set che aveva colpito Cecchinato (Krajinovic), Vanni (Carreno Busta) e ieri anche Travaglia con Basilashvili (3-6 6-3 3-6 6-4 6-3 in 2h e 54 m). Primo e terzo set ci avevano illuso. Ma il georgiano è n.20 ATP. L’exploit di Fabbiano che a Wimbledon 2018 aveva colto la più bella vittoria di sempre sullo svizzero Wawrinka campione di tre Slam, è stato coronato dal long-tiebreak decisivo del quinto set e nonostante un primo set perso pur avendo avuto 5 set point (ma sul servizio imprendibile di Opelka): 6-7 (15-17) 6-2 6-4 3-6 7-6 (10-5) il punteggio. Insomma 47 punti giocati in due tiebreak. Se il torneo non avesse introdotto il tiebreak al quinto set, eravamo ancora lì. Fabbiano, sei tu il gigante! (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport) La Grande Gioia sta a quota -38, per arrivarci serve un’immersione di 3 ore e 32 minuti. Pochissimo movimento («Avrò fatto in tutto un chilometro»), ma concentrazione assoluta per evitare le bombe di profondità sganciate dai 2 metri e 11 di yankee di Reilly Opelka, 21enne made in Michigan. Alla fine a spuntarla è stato il palombaro Thomas Pabbiano, da Grottaglie, provincia di Taranto, emerso vincitore dopo cinque set di apnea dal suo metro e 73 di fosforo e tenacia. Davide contro Golia è un classico, l’astuzia di Ulisse nel mito la spunta sempre contro la forza (cieca) di Polifemo, ma ultimamente nel tennis la vita per gli under 180, intesi come centimetri, si è fatta dura. Tocca inventarsi qualcosa per evitare di essere inchiodati da sassate che arrivano a 220 chilometri all’ora e rimbalzano in tribuna. «Non avevo mai affrontato un servizio del genere», dice Tommy, da ieri virtualmente numero 84 del mondo. «Ho dovuto stare concentratissimo, subire all’inizio senza farmi prendere dalla frustrazione, senza lamentarmi le ho provate tutte: alla fine ho deciso di mettermi sul corridoio, costringendolo così a tirare dove volevo io». Di ace il ciclopico ma agilissimo (per la sua altezza) Reilly ne ha piazzati 67 in 23 game di servizio, 3 anche con la seconda, con un differenziale di +65, rispetto ai miseri 2 di Fabbiano, che entra di diritto nel libro delle statistiche. Ha battuto il record precedente di differenziale che apparteneva a Karlovic (78 a 18 contro Stepanek in Coppa Davis) ma non è riuscito ad affondare l’u-boot azzurro. Il primo set set è finito all’americano, 17-15 al tie-break, Thomas però è stato bravo ad approfittare del calo di tensione strappandogli il secondo e il terzo; nel quarto ha subìto, nel quinto si è giocato come il più consumato dei rigoristi il super-tiebreak a 10: parando le mazzate dell’avversario, angolando le traiettorie e lasciando all’esausto Reilly appena due punti. Il belga Olivier Rochus, 1 metro e 63, fra il 2005 e il 2008 giocò tre volte contro Ivo Karlovic, 2 metri e 11, in quello che è stato probabilmente il match più squilibrato (in centimetri) della storia, spuntandola in due occasioni. E sempre contro Doctor Ivo, nel 2014, il grande – in autoironia più che in altezza Dudi Sela (1,75) salì su una sedia per stringergli la mano e abbracciarlo a fine partita. Ma in passato erano i pivot di oltre due metri prestati al tennis ad essere l’eccezione; oggi sono le stature medie a rappresentare l’eccezione […] Opelka al primo turno era riuscito a sgambettane l’altro gigante americano, John Isner (211 cm), scendere così tanto di quota deve avergli fatto venire i capogiri; Fabbiano alla vigilia invece aveva scherzato su un possibile allenamento con Karlovic, reduce dalla troposferica finale di Pune contro Anderson (4 metri e 15 in due). In realtà ha dovuto accontentarsi dei 185 centimetri di Simone Bolelli, «….e no, non l’ho costretto a salire sulla sedia». Al terzo turno – il terzo in carriera negli Slam dopo US Open 2017 e Wimbledon 2018 – gli tocca Grigor Dimitnov, ex Top Ten, oggi numero 21 e Maestro a Londra due anni fa, che di centimetri ne ha comunque una ventina in più. «Non voglio ripetere gli errori che ho commesso, dopo aver battuto Wawrinka a Londra, nel gestire la partita successive», dice Tommy. I bookmaker danno a 7,50 un’altra sua impresa. Il bel Grisha farà comunque meglio a non sottovalutare il Piccolo Maestro pugliese, e la sua saggezza antica. Davide batte Golia. Piccolo grande Fabbiano fa crollare la montagna (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport) Se non puoi batterlo con la forza bruta, sorprendilo con l’intelligenza. Piovono meteoriti sull’impassibile Fabbiano, 67 ace infuocati (5° di sempre) che Opelka, il gigante del Michigan, scarica sul match dall’alto dei suoi due metri e undici, cui vanno aggiunti l’estensione del braccio e quella della racchetta. La montagna contro il topolino, l’inossidabile Thomas (un vezzo per modernizzare il nome del nonno), figlio dell’ex sindaco e medico condotto di San Giorgio Jonico, che a malapena arriva a 1.73 (dunque, 38 centimetri di differenza con l’avversario) e potrebbe uscire stravolto dal bombardamento. Macché. In una partita lunare, come era prevedibile, dove si gioca ogni scambio su uno o due colpi al massimo, l’eterna promessa ormai diventato uomo prossimo ai trent’anni ci mette la testa e finisce per inceppare il bazooka dell’americano. Innanzitutto, non crolla mentalmente dopo aver perso il tie break del primo set a 15 sprecando un vantaggio iniziale di 4-0, un’occasione sciupata sanguinosa contro un rivale che alla battuta sostanzialmente non ti fa vedere la palla. E poi, come una tignosa formichina, si industria finalmente a leggere le traiettorie dei missili yankee, mentre quando serve tiene dentro l’80% di solide prime, impedendo al ragazzone di forzare la risposta non avendo nulla da perdere. Eppure non basterebbe, senza il capolavoro del quinto set, nel cuore e nella carne di un super tie break da affrontare dopo più di tre ore di martellate e che il piccolo grande Tomasino racconta così: «Non ci ho capito nulla dall’inizio alla fine e nemmeno dopo, ripensandoci. Ma nel tie-break decisivo da sinistra sono riuscito a rispondergli alla prima e a fargli due punti, mi sono messo esterno a aspettare la palla, verso il corridoio, mi sono detto “se vuoi farmi ace lo fai al centro” e magari gli ho tolto qualche punto di riferimento». Chapeau. Il colpo che apre le porte al trionfo è il passante di rovescio che gli garantisce il primo mini break per il 4-2: da lì, Fabbiano non si volterà più indietro, conquistando il terzo turno di uno Slam per la terza volta (Us Open 2017 e Wimbledon 2018 i precedenti). Non era mai accaduto che un giocatore vincesse una partita con un così ampio disavanzo negli ace (67 a 3, praticamente 14 game a zero), un’esperienza mistica che il numero 102 del mondo (ma adesso è già almeno 84 e con 98.000 euro in più sul conto corrente) non vorrebbe comunque più ripetere: «C’è voluta tanta concentrazione a rimanere lì, ho ingoiato tutto senza farmi prendere dalla frustrazione, senza lamentarmi, e non è stato facile. Se il tennis fosse sempre così non lo seguirei, ma nemmeno lo giocherei, a un certo punto non è più sport. No, non ho potuto allenarmi con Karlovic, ho scambiato un’ora con Bolelli e non l’ho fatto salire su una sedia…» […] Anisimova & co. Le ragazze terribili del nuovo millennio (Federica Cocchi, Gazzetta dello Sport) La next gen si declina anche al femminile. A Melbourne cinque tenniste tra i 16 e i 18 anni si sono qualificate al secondo turno e una, la 17 enne Anisimova, è già approdata al terzo. È lei l’osservata speciale di questo gruppo di ragazzine terribili. Passaporto americano, nata a Freehold, New Jersey, da genitori moscoviti, ha iniziato a giocare quando aveva appena 2 anni per seguire le orme della sorella più grande, Maria. Papà Konstantin Anisimov e la moglie Olga si sono trasferiti negli Stati Uniti nel 1998 per cercare condizioni di vita migliori. Invitata da dei parenti di Olga, la famiglia si è subito trovata bene scegliendo di trasferirsi negli States dove è nata la figlia più piccola, Amanda. In precedenza la famiglia aveva pensato di trasferirsi in Spagna, altra patria «tennistica», ma Konstantin non si è sentito a proprio agio: «In Europa ti trattano sempre come uno straniero, negli Usa c’è gente di tutto il mondo, l’accoglienza è migliore, è un posto dove tutti possono avere un’opportunità». E così è stato, soprattutto per la piccola della famiglia, che a 7 anni ha iniziato a fare sul serio e adesso, a 17 e mezzo, è già numero 87 del mondo. A Melbourne Amanda è arrivata al terzo turno battendo Monica Niculescu all’esordio e poi Lesia Tsurenko, ucraina numero 24 del ranking. «Voglio diventare numero 1 al mondo – ha sempre detto Amanda dal suo metro e ottanta di altezza – e non è affatto un sacrificio girare per il mondo, perché mi piace molto quello che faccio» […] Prima volta al terzo turno. Fabbiano, lezione al futuro (Daniele Azzolini, Tuttosport) Trentotto centimetri più sotto ci sta Thomas Fabbiano. Nella foto finale il nostro è quello di lato, seminascosto da Reilly Opelka, un due metri e undici che pare un armadio a tre ante. Da lì, avere un punto di vista sul tennis ti obbliga necessariamente a guardare verso l’alto, e per quanto scomoda, la situazione offre utili spunti di riflessione. Il primo è sul tennis del futuro, popolato da uomini grandi come case, un tennis alieno, scosso da sassate che vengono dall’alto, dalle quali prima di tutto è necessario mettersi al riparo. Il secondo è la necessità di trasformarsi da tennisti che corrono in tennisti che scalano. Trentotto centimetri, secondo la “Scala Isner” che misura la cosiddetta magnitudo, cioè il valore dell’energia che si sprigiona in ogni colpo a partire dall’ipocentro (da cui parte la palla) e ne valuta l’intensità, si traducono in una differenza di 65 ace, 67 a 2 per la precisione. Il terzo riguarda l’obbligo di modificare la propria strategia. Allo scoccare della terza ora di gioco, Thomas era convinto in cuor suo di aver percorso poco più di 200 metri. Tanti scatti brevi, spesso inutili, mentre il tennista-scalatore sa che la regola fondamentale, il colpo di piccozza utile a issarsi quel tanto più su, viene dal rimettere in gioco la palla, purché sia. Sarà l’alieno a quel punto a chiedersi che cosa fare con quella sfera che torna indietro e comincerà ad assumere strane configurazioni per ribatterla a sua volta, le gambe troppo lunghe s’incroceranno, il busto troppo rigido lo sbilancerà, i muscoli troppo sviluppati la scaglieranno chissà dove. Un utile consiglio per gli spettatori della prima fila? Munirsi di scudi, odi elmetti. Infine, l’ultima considerazione… Nella foto finale, è il nostro Thomas a esultare, per quanto semi nascosto, e non l’armadio. Significa che c’è vita intorno al tennis del futuro, e c’è speranza. Non sarà una palestra per alieni spropositati, e non si vedranno solo servizi a velocità spaziali, controllabili esclusivamente dai radar dei centri ufologici nazionali. Significa che si potrà ancora fare a meno di quei 38 centimetri mettendo in campo altre cose. Come ha fatto Fabbiano, passato sotto la tutela del Centro Piatti a Bordighera. Ha causato danni irreparabili nel tennis di Reilly Opelka una rispostina in chop, che il nostro ha eseguito opponendo giusto la racchetta a quei missili forsennati. Su quella Thomas ha costruito il proprio gioco, cercando subito di far correre Opelka, incapace di reggere oltre il quarto scambio […] «Sarebbe stato tutto perfetto semi fossi anche divertito. Ma con quel tennis, non ci riesco. Anzi, se il tennis fosse questo, forse non lo seguirei, e nemmeno lo giocherei. Non mi piace e non mi appassiona». Ora c’è Dimitrov. «Non voglio fare gli stessi errori di Wimbledon, quando ho trascorso il giorno di riposo allenandomi come un pazzo. Farò il giusto, giocherò tranquillo» […] Il maratoneta Seppi: riposo e amore per giocare 55 Slam (Enrico Sisti, Repubblica) «Per andare avanti non ho altra scelta che…». Poco meno di tre anni fa sembrava proprio che Andreas Seppi si fosse piegato al destino, ovviamente cinico e ovviamente baro, e avesse accettato di entrare in sala operatoria, che è uno di quei “grandi traguardi” che ad un certo punto appaiono all’orizzonte fra gli eccessi fisicamente distruttivi ed economicamente remunerativi dello sport moderno. In realtà Seppi, 35 anni il prossimo 21 febbraio, appena approdato al terzo turno dell’Australian Open dopo aver battuto Thompson, stava affermando l’esatto contrario. La sua era una decisione in controtendenza, quasi rivoluzionaria, era una specie di rivolta: «Non mi opero, non se ne parla». Il contrario di Murray per non finire come Murray. Anche Seppi soffriva e soffre di un problema all’anca. L’anca è una maledizione, quando dice basta e lo dice a modo suo devi solo ascoltarla. Non sempre esiste un rimedio. Per allungarsi la carriera Seppi ha capito che il toro non andava preso per le coma, che era possibile aggirare la seduzione del bisturi. Si è consultato, si è angosciato. «E alla fine abbiamo optato per la terapia conservativa e rigenerativa». Nessuna certezza, solo buon senso. Che ha ripagato. E così Andreas, che con l’Australian Open del 2019 ha staccato il suo 55° ticket consecutivo ad uno Slam, circa due volte all’anno si ferma per un mese, a volte qualcosa di più: la chiamano infiltrazione ma è qualcosa di diverso e qualcosa di più. Sono i celebri fattori di crescita, ti prelevano il sangue, te lo centrifugano in modo che piastrine e plasma si dividano e ti iniettano nella zona sofferente una siringa giallastra del tuo stesso siero. Il tutto una o due volte a distanza di una decina di giorni. In quel periodo è consigliabile, se non proprio obbligatorio, stare fermi. Per sopravvivere bisogna insomma un po’ morire, per allungare bisogna un po’ rallentare. Più dell’intervento chirurgico a Seppi è servito l’intervento psicologico. Più della ricostruzione in artroscopia è servito il ragionamento sull’età che avanza. Come tutti gli adulti saggi Seppi apprezza ora il valore dello sforzo quanto quello del riposo. Sa che per giocare più a lungo non può più giocare sempre. Seppi è una scultura vivente. Non sembra quasi mai soffrire le emozioni. E ciò farebbe supporre che non ne prova […] Quando nel gennaio del 2015 divenne il quinto italiano a battere Federer (dopo Pozzi, Sanguinetti, Gaudenzi e Volandri), ma il primo in assoluto in una partita dello Slam, accadde proprio a Melbourne, pareva che si fosse appena liberato da un ingombro. Contento sì, ma non abbastanza per cominciare a zompettare su e giù per il campo. Ha sorriso, ha allargato le braccia. Stop. Seppi è così. Per questo dura nel tempo. Perché ha qualcosa del riserbo orientale di Nishikori, sa carpire i segreti dai suoi maestri e soprattutto dal suo coach Max Sartori (ma anche da Piatti) e vince anche quando perde. L’amore per sua moglie gli ha insegnato ad aprirsi un po’, ma è cosa relativamente recente (si è sposato nel 2016 con Michela Bernardi). Andreas è una statua di talento capace di rimandare dall’altra parte della rete palline anche dopo scambi di venti colpi a testa. E oltre a Federer ha sconfitto anche Nadal. Unico azzurro della storia ad aver vinto tornei su tutte e tre le superfici, terra, erba cemento, eppure di lui si continua a parlare poco, troppo poco […] ...

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