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“The History of Tennis” di Richard Evans è un viaggio irripetibile da Tilden a Federer

Lo stimato storico del tennis britannico Richard Evans ha scritto non meno di 22 libri nel corso della sua straordinaria vita. È uno dei decani del giornalismo tennistico, nonché un’autorità ineccepibile riguardo l’evoluzione del gioco e riguardo tutti i grandi giocatori che hanno colpito nella maniera più vivida la fantasia del pubblico. Evans è stato un eccezionale giornalista per più di sei decenni, scrivendo per quotidiani e riviste sia in Gran Bretagna che negli Stati Uniti, oltre ad essere stato autore di diverse pubblicazioni. Ha inoltre ricoperto dei ruoli a livello politico, lavorando per l’ATP in differenti frangenti negli anni ’70 e ’90. In molti modi, attraverso così tante epoche piene di talenti, Evans è stato sinonimo di tennis, vivendolo e respirandolo dalla sua giovinezza fino agli ottant’anni, assistendo a tutti i cambiamenti radicali che si sono susseguiti e raccontando il tennis con esuberanza e sagacia. Evans ha viaggiato più di chiunque altro nel suo campo e, con educazione e raffinatezza, ha avuto un ruolo nell’aumentare la popolarità del tennis con il suo astuto reporting e l’entusiasmo sfrenato per quello che era il ruolo del tennis nel tessuto sociale. Considerando la sua levatura in qualità di giornalista, è giusto che Evans abbia pubblicato un nuovo libro intitolato “The History of Tennis”. Questo deve essere considerato il suo lavoro più importante fino ad ora. A dire il vero, ci sono stati altri autori che hanno copiosamente scritto essenzialmente sullo stesso argomento e hanno fortemente contribuito alla letteratura del tennis: Gianni Clerici ha pubblicato un libro molto apprezzato e forse il più autorevole sulla storia del tennis negli anni ’70; Bud Collins ha scritto la sua prima enciclopedia più di quarant’anni fa, “The Bud Collins History of Tennis” – l’ultima edizione è uscita dopo la morte di Collins nel 2016. Altri si sono cimentati sul tema della storia del tennis con simili pubblicazioni di livello accademico. Evans fa un ottimo lavoro nel suo libro combinando l’analisi statistica con un’ampia panoramica sui campioni e sulle personalità più importanti, oltre ad isolare gli sviluppi fondamentali nell’evoluzione del tennis, quali, tra gli altri, l’inizio dell’era Open nel 1968, la formazione delle “Original Nine” nel 1970, essenziale per il tennis femminile e il boicottaggio di Wimbledon da parte dell’ATP nel 1973. È nel chiarire gli aspetti principali del tennis che Evans dà il meglio di sé. Avendo seguito alcune campagne e convention presidenziali negli Stati Uniti negli anni ’60 e ’70, ha sempre avuto una mente agile, un occhio acuto e un buon orecchio per la politica sia in generale che nell’universo del tennis. Questo viaggio nel cuore della storia del tennis è davvero coinvolgente. Evans sceglie saggiamente di dedicare uno spazio limitato all’evoluzione del tennis nelle sua fase embrionali. Nonostante ciò, la sua capacità di cogliere ciò che conta è indiscutibile. Evans racconta le origini di questo sport, tracciandone l’evoluzione dal sedicesimo secolo fino al 1874, anno della nascita ufficiale del gioco inventato dal maggiore Walter Clopton Wingfield. Ci sono molti motivi per cui Wingfield voleva che il suo lavoro venisse riconosciuto, ma, come scrive Evans, “non c’è dubbio che fosse principalmente interessato ai profitti – la sua famiglia era caduta in rovina ed era ansioso di ottenere il brevetto per quanto fatto. Questo gli venne finalmente riconosciuto nel febbraio 1874, nonostante alcune persone avessero affermato di aver praticato qualcosa di simile per anni”. Evans prosegue parlando della nascita del gioco in Inghilterra e negli Stati Uniti; la prima edizione di Wimbledon nel 1877 vide al via 22 giocatori solo per il tabellone maschile, seguita dagli US Championships quattro anni dopo. Descrive magistralmente anche l’inizio della Coppa Davis nel 1900 e come la prestigiosa competizione internazionale a squadre decollò, ampliando l’interesse per il tennis a livello mondiale. Ma ci è voluto del tempo. Descrivendo la prima partita di Coppa Davis tra le isole britanniche e gli USA al Longwood Cricket Club in Massachusetts, iniziata il 7 agosto 1900, Evans racconta: “Tutto sommato, non è stato un inizio di buon auspicio. I conflitti in Sud Africa, dove la guerra boera era al culmine, e Cuba, dove Teddy Roosevelt ei suoi Rough Riders erano stati impegnati duramente, impoverirono entrambe le squadre. I due migliori americani, William Larned e Robert Wrenn, erano entrambi impegnati a Cuba, mentre il britannico Dottor W.V. Eves era coinvolto nella guerra boera. E, sebbene i fratelli britannici Reggie e Laurie Doherty non fossero nell’esercito, entrambi trovarono una scusa per declinare l’invito [per la Davis]”. La storia di questo sport eccezionale continua ad essere esposta in modo spettacolare attraverso gli occhi di Evans in quella che si può definire una visione di ampio respiro. Il modo in cui ha strutturato il libro lo ha reso facile da seguire e comprendere. Dopo aver esaminato in modo completo gli inizi del tennis e i decenni successivi, Evans dedica dei capitoli ad ogni differente epoca storica: il periodo successivo alla Prima guerra mondiale e gli anni Venti; i Trenta; i Quaranta e Cinquanta; i Sessanta; i Settanta; gli Ottanta; i Novanta; e infine il ventunesimo secolo. Determinato a mettere le donne sullo stesso piano degli uomini, dedica un capitolo alla nascita del circuito femminile e della WTA. Questo tipo di suddivisione è una formula di grande successo per spaziare senza problemi attraverso i decenni e rendere tutto semplice da digerire. Non lascia nulla di intentato. Il doppio è presente. Le Olimpiadi ci sono. Gli accattivanti riquadri laterali sono un bonus. Nonostante tutto, Evans ha ben chiare le proprie priorità. Scrivendo in relazione al periodo successivo alla Prima guerra mondiale, che è stato così critico nell’evoluzione del tennis e nell’affermazione di superstar che hanno trasformato il mondo dello sport, Evans sottolinea: “Il decennio successivo alla Prima guerra mondiale è stato dominato da sette campioni straordinari, cinque dei quali erano francesi. Bill Tilden, noto per la sua personalità imponente tanto quanto il suo gioco brillante, era l’eccezione americana tra gli uomini, e Helen Wills, una bellezza oltre che una grande tennista, lo era tra le donne. Due dei sette giocatori sono diventati le prime star di livello mondiale di questo sport: Tilden e Suzanne Lenglen, che ha spazzato via tutte le giocatrici arrivate prima di lei con uno stile di tennis leggiadro che si è rivelato invincibile. L’elegante Wills dal volto indecifrabile è stata l’unica giocatrice degna di essere menzionata insieme a Lenglen”. Evans poi parla dei Moschettieri (René Lacoste, Henri Cochet, Jean Borotra e Jacques “Toto” Brugnon) per completare quel cast scintillante di sette giocatori che ha individuato per rappresentare quell’era così importante per il gioco. Passando agli anni ’30 e all’importanza di Don Budge (il primo giocatore ad essersi assicurato il Grande Slam nel 1938), Fred Perry (il miglior giocatore britannico di tutti i tempi), Wills (vincitrice di 19 Major in singolo), Helen Jacobs (vincitrice per quattro volte degli U.S. Championship) e la a tratti misteriosa Alice Marble (cinque volte campionessa Major in singolo), Evans è assorto completamente nel racconto della storia, come quando parla di Marble alla fine degli anni ’30, “A quel punto, la vita di Marble aveva preso molte strade. Era sempre la benvenuta nella villa californiana di William Randolph Hearst, dove divenne buona amica di Clark Gable e Carole Lombard. In breve tempo ebbe amanti di entrambi i sessi. Il dramma non è mai stato lontano dalla sua vita. Come si direbbe a Hollywood, Alice Marble era una tosta”. Passando al capitolo sugli anni Quaranta e Cinquanta, Evans porta in primo piano gente come Jack Kramer e Lew Hoad. L’autore è stato a lungo nel campo degli osservatori eruditi che riveriscono Hoad. Evans racconta che Lew era vicino a conquistare il Grande Slam nel 1956 prima di inchinarsi contro il suo amico Ken Rosewall nella finale di Forest Hills. In merito a quel match, l’autore scrive: “Hoad sembrava sulla buona strada per il Grande Slam quando vinse il primo set per 6-4. Se Lew non si fosse rilassato o se non avesse perso un po’ di concentrazione, il suo nome sarebbe rimasto impresso per sempre nel pantheon di questo sport come uno dei tre più grandi giocatori di tutti i tempi”. Evans non chiarisce chi si sarebbe unito a Hoad in quel territorio d’élite qualora Hoad si fosse davvero assicurato il Grande Slam, ma si sospetta che la sua scelta potrebbe ricadere su Rod Laver e Roger Federer.  Evans, nel ricordare gli anni ’60, prende in considerazione il tentativo fallito per pochi voti durante l’assemblea generale dell’ITF di inaugurare l’Open Tennis già all’inizio di quel decennio piuttosto che nel 1968, quando il progetto finalmente si realizzò. La votazione in quella riunione non andò a buon fine perché tre delegati non votarono e quindi non fu garantita la maggioranza di due terzi necessaria per l’approvazione. Evans scrive: “I tre colpevoli avrebbero forse agito diversamente se si fossero resi conto che, impedendo il progresso del mondo tennistico per ben otto lunghi anni, hanno privato Pancho Gonzales e Ken Rosewall delle loro migliori possibilità di vincere Wimbledon, cosa che nessuno dei due ha fatto. Si può solo supporre quanti altri titoli del Grande Slam avrebbero vinto Lew Hoad e Rod Laver, ma una cosa è chiara: i record stabiliti nella storia del tennis sono distorti a causa della negligenza e della stupidità di alcuni”. A pagina 2, Richard Evans dice la sua sulle rivalità più importanti degli ultimi 30 anni: Graf-Seles, Agassi-Sampras e i Big Three (o Big Four)? ...

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