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Thomas Muster, Miami nel destino

L’edizione del 1989 del torneo di Miami resterà quella della finale non giocata da Thomas Muster, travolto alla vigilia da un ubriaco al volante. La rottura di due legamenti ne mise a rischio la carriera, ma grazie a un’enorme determinazione (e a una speciale panca) l’austriaco sarebbe tornato in 6 mesi. Per riprendersi ciò che gli spettava. Il tabellone gli aveva dato una mano fino alla semifinale, ma la rimonta da due set sotto contro Yannick Noah, che gli aveva aperto le porte della finale del “Lipton International” di Key Biscayne, era stata solo merito suo. Una vittoria tutta lotta e sudore, di quelle che hanno riempito la carriera di Thomas Muster, al tempo un ventunenne in ascesa, con in tasca una finale – da giocare contro il numero uno Ivan Lendl – per dimostrare che il suo tennis mancino fatto di pressing e fisicità funzionava anche lontano dalla terra battuta. Stava imparando a destreggiarsi niente male anche sul cemento, ma quel primo aprile del 1989, in Florida, non aveva fatto i conti con la sorte, o con la Lincoln Continental guidata dal cubano Robert Norman Sobie, ubriaco fradicio e senza patente. Mentre rientrava in hotel in serata, Muster si era fermato ad acquistare del cibo. Stava prendendo il portafogli dal borsone, nel bagagliaio, quando sentì un tonfo e si trovò scaraventato a terra, con la tuta stracciata e il ginocchio sanguinante. Fu l’inizio di un calvario. LA PANCA MIRACOLOSA Per fortuna l’auto di Sobie non lo travolse totalmente, ma l’impatto gli provocò la rottura sia del legamento crociato anteriore, sia del collaterale mediale del ginocchio sinistro. Risultato: nottata al Mercy Hospital, inevitabile forfait per la finale e rientro anticipato a Vienna per l’intervento chirurgico. Poteva essere game over: inizialmente i medici non seppero dire con certezza nemmeno se sarebbe tornato a camminare regolarmente, e due settimane di ricovero ospedaliero misero al tappeto anche lui, guerriero nell’animo. Anni dopo avrebbe raccontato di aver pensato seriamente all’addio, ma al bivio proposto dalla crisi guardò in faccia la rovina e poi scelse l’opportunità, sotto forma di un’intuizione del suo storico coach Ronnie Leitgeb. Fu lui a inventare una speciale panca che consentì a Muster di tornare subito ad allenarsi, perché poteva tirare diritto e rovescio restando seduto, con la gamba immobile, come YouTube conserva memoria. Ma, soprattutto, il marchingegno riaccese la fiamma ardente dell’agonismo. “Appena vide quella sedia, nei suoi occhi riapparve il fuoco”, ha raccontato Leitgeb, ed è grazie a quell’idea tanto strampalata quanto azzeccata che a soli sei mesi dall’incidente Muster era di nuovo nel Tour. Pronto a riconquistarsi il maltolto. PARIGI E IL NUMERO 1 Da lì in avanti, il tennista di Leibnitz non avrebbe impiegato molto a riprendere il percorso bruscamente interrotto quella notte a Miami. Nella prima settimana del ’90 tornò a vincere un torneo Atp, poi un altro, un altro e un altro ancora: diciotto in totale prima del 1995 dei record, con dodici titoli. Vinse a Monte-Carlo, a Roma e poi a Parigi. Finalmente a Parigi, il suo primo e unico titolo Slam, col successo in finale su Michael Chang che portò a trenta la sua striscia di vittorie consecutive, poi allungata di altre cinque. Poco alla volta riprese a giocare anche sul cemento, nemico giurato dei legamenti ricostruiti sotto i ferri. Eppure nemmeno 86 vittorie in un anno gli bastarono per conquistare la vetta della classifica mondiale, perché Sampras e Agassi si divisero tre Slam e cinque Super 9, gli attuali Masters 1000. Muster, però, non dovette aspettare troppo a lungo: tagliò il traguardo più atteso il 2 febbraio del ’96. Festeggiò a Dubai, perdendo al primo turno da Sandon Stolle, australiano numero 161 al mondo, e cedendo poi il numero uno solo sette giorni dopo (salvo poi riconquistarlo a marzo). Ormai, il suo conto con la sorte era stato saldato. O quasi. MIAMI, OTTO ANNI DOPO C’era ancora una casellina vuota alla voce Miami, un lavoro lasciato incompiuto nel parcheggio della Bayside shopping area di Downtown. Muster era tornato a Key Biscayne nel ’93 e nel ’96, sempre senza fortuna. Almeno fino alla magia del 1997, quando a otto anni dalla finale non giocata se ne guadagnò un’altra. Mise in fila Stafford, Haas, Corretja, Bjorkman e Courier, e stavolta a venire travolto – ma dai suoi colpi, non da un ubriaco al volante – fu il malcapitato Sergi Bruguera, che in semifinale aveva tolto di mezzo Pete Sampras. Due giorni dopo finì 7-6 6-3 6-1, con Muster più motivato, più in palla, più determinato ad abbracciare finalmente il trofeo di cristallo prenotato anni prima. Curiosamente, proprio quello sarebbe rimasto l’ultimo dei suoi 44 titoli, preambolo a un lento tramonto. Come se il destino avesse deciso di regalargli l’ultima soddisfazione proprio là dove con lui era stato ingiustamente crudele, premiandone la capacità di rialzarsi in fretta. Muster non ha mai mostrato rancore. Non ha mai pensato a come sarebbe andata senza l’incidente, ha solo guardato avanti. Perché i vincenti sanno sempre come trovare una soluzione. L'articolo Thomas Muster, Miami nel destino proviene da WeAreTennis. ...

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