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Topspin: cosa ci dicono i dati di fine 2019

Il topspin è la conditio sine qua non del tennis contemporaneo. Notoriamente, l’allargamento del sweet spot delle racchette a partire dai primi anni Ottanta ha fatto sì che fosse molto più agevole colpire con margine sulla rete, abbassando la percentuale di errori da fondo senza compromettere la pesantezza del colpo, ben lungi. In una sorta di corsa agli armamenti, impugnature e swing si sono evoluti di pari passo (come sottolineato dal New York Times), esacerbandone l’utilizzo, tant’è che oggi l’utilizzo del termine “colpi piatti” è meramente retorico, perché quasi tutti i colpi (specialmente i dritti) generano rotazione. Allo stesso tempo, però, i dati vanno relativizzati, perché se è vero che tutti mettono rotazione sui colpi, è altresì innegabile che alcuni ne applichino molta più di altri, rendendo di fatto piatti i colpi meno arrotati nella percezione di chi li riceve, e uno stile di gioco non può che essere legato al modo in cui l’avversario vi si rapporta. Un esercizio interessante (e per nulla sterile, in quanto ci dà un’idea di come le rotazioni influenzino i vari stili di gioco) è quindi di confrontare i dati dei vari giocatori all’interno di un torneo, ancorché limitati a pochi eventi – Tennis TV fornisce topspin rates solo per i 1000 e per le due Finals, NextGen e Master ‘dei grandi’. E proprio di questi ultimi due tornei, vinti rispettivamente da Jannik Sinner e Stefanos Tsitsipas, si è occupato 禮 (il suo handle, probabile rimando a un suo connazionale, ancorché emigrato e naturalizzato britannico quale Kazuo Ishiguro, è “Vestige du jour”), utente di Twitter e fan di Nishikori che ha raccolto i dati disponibili per i 16 partecipanti ai due eventi di fine stagione (piccolo caveat: Tennis TV generalmente fornisce i dati in RPS, Rounds Per Second, ma l’utente ha scelto di convertirli in RPM, Round Per Minute, probabilmente per rendere più enfatiche le differenze fra i vari dati). Trattandosi di dati parziali (si parla di campioni fra le tre e le cinque partite per giocatore), vanno presi con le pinze, ma si possono trarre alcune inferenze, tre delle quali sono a nostro parere più interessanti. OMOLOGAZIONE – La prima, e più rilevante, riguarda l’evidente proporzionalità fra i due colpi da fondo per quasi tutti i giocatori considerati. Se si eccettuano Gronchi rosa come Tiafoe, il cui dritto viaggia sopra i 3000 RPM, oltre il doppio rispetto al rovescio (un’antinomia persino più lampante si noterebbe analizzando i dati di Cameron Norrie, non presente qui), o come un’istanza di Sinner, sopra i 2800 di rovescio contro 2200 di dritto (che però corrisponde al match con Ymer, finito 4-0 4-2 4-1, quindi troppo sbilanciato per essere attendibile), si può notare come quasi tutti i valori si situino nella fascia centrale, che rappresenta un rapporto fra rotazione del rovescio e del dritto che si attesta fra il 60 e il 65%. In particolare, la stragrande maggioranza dei campioni si situa rispettivamente fra i 2700 e i 3000 di dritto, e fra i 1800 e i 2300 di rovescio, che sarebbero 45-50 e 30-38 in termini di RPS – in questa categoria troviamo Djokovic, un’istanza di Federer, un’istanza di Zverev, Humbert, Kecmanovic, Sinner, Davidovich Fokina, e Ymer, vale a dire la metà dei giocatori considerati, fra cui tanti dei giovani, un dato significativo su quale sia la formazione delle nuove leve. La suddetta percentuale è confermata da un’altra tabella del nostro amico appassionato di statistica, vale a dire quella relativa alle cifre della stagione 2018, raccolte fra sei Masters 1000 (Miami, Montecarlo, Madrid, Roma, Canada, Cincinnati): Un corollario di questa correlazione riguarda il dato molto basso di De Minaur e Medvedev, due giocatori con diversi aspetti in comune, soprattutto il dritto con presa eastern che li porta ad impattare la sfera senza troppa alternanza fra pronazione e supinazione dell’avambraccio, generando quindi meno spin. Il loro stile semi-piatto si estende anche al rovescio, però, e li fa classificare come contrattaccanti, data la loro abitudine ad appoggiarsi alla velocità dell’avversario con entrambi i colpi. Ciò che ci preme sottolineare (e che si evince anche dai dati dei vari Simon, Murray, Mannarino, e ancor di più da quelli di Kukushkin) è che la loro inclusione in un immaginario di giocatori reattivi è una prima istanza che sfida le dicotomie classiche con cui quasi tutti i tifosi guardano ad attaccanti e difensori, di fatto creando una scollatura fra significante e significato. Fino a 15-20 anni fa, l’attaccante tirava forte su superfici veloci e il difensore tirava carico su superfici lente, mentre invece adesso gli attaccanti che amano sbracciare tendono a giocare meglio su superfici lente, mentre i sopracitati contrattaccanti rendono al meglio proprio indoor (perché consente un impatto pulito) e su superfici rapide – non consideriamo Medvedev alle Finals, in riserva da settimane. Questo è a nostro parere l’argomento più affascinante del gioco contemporaneo, e non c’è spazio per approfondirne l’eziologia qui (dai cambiamenti fisici a quelli degli strumenti a quelli delle superfici), ma sarebbe un soggetto importante per uno studio futuro, ed è comunque significativo notare come i numeri confermino questo cambiamento. Chiudiamo questa prima fase sottolineando come sia fuori scala anche il nostro Matteo Berrettini, che ha fatto registrare il dritto più carico in assoluto (3600 RPM), a dispetto di un rovescio nella media, fra i 2000 e i 2100. EVOLUZIONE – Il secondo spunto riguarda l’adattamento di campioni cresciuti sulla terra battuta (e.g. Nadal e Thiem, chiamarli terraioli sarebbe riduttivo) per avere successo sul Green Set indoor di Londra. Nello specifico, si può fare un confronto con la seconda tabella di cui sopra. Come si può notare, il loro dato medio è sensibilmente più alto. Questo perché l’umidità abbassa il rimbalzo al chiuso, rendendo anodino il topspin e castigando posizioni particolarmente arretrate sul campo, obbligando perciò a cercare soluzioni più piatte (o sarebbe meglio dire meno arrotate), più avanzate (cosa che di contro li obbliga ad accorciare le aperture), e più verticali – questo dato è reso più che apodittico dalla nota di quest’ultima tabella, che riporta topspin più alti del 5-7% nei tre tornei più lenti, Miami (cemento tropicale, con condizioni molto più umide rispetto all’aria rarefatta di Madrid), Montecarlo, e Roma. Il contrasto per l’austriaco è particolarmente sensibile, ed è sintomatico della sua enorme crescita tecnica sotto Massú, soprattutto per quanto riguarda l’attacco lungolinea con il rovescio in anticipo (conduttivo per la discesa a rete, e il tema del rovescio tornerà fra poco) e più in generale la posizione in campo, decisamente più avanzata. Ribaltando il ragionamento, si può inferire che giocatori con dati simili che però hanno deluso in questi tornei, vale a dire Ruud e Berrettini (0-3 per il norvegese, 1-2 per l’azzurro), non abbiano ancora sviluppato la completezza di gioco necessaria per mutare la propria pelle tennistica in condizioni diverse. Ruud, in particolare, ha colpi arrotatissimi da entrambi i lati (che gli stanno portando bene in America Latina), ed è l’unico bimane che supera con frequenza i 2400 RPM, se si eccettua il match di Sinner di cui sopra. LIMITAZIONE? – Un altro dato smentisce un assioma del tennis contemporaneo, perlomeno fra i fan, e cioè che il rovescio a una mano non abbia futuro perchè meno incisivo del corrispettivo bimane. Questo è un falso mito: come si può vedere, i tre rovesci single presenti alle ATP Finals (Federer, Tsitsipas, e Thiem) hanno sempre superato i 2100 RPM, risultando mediamente più pesanti rispetto a quasi tutti i rivali, e il dato diventa inequivocabile guardando la seconda tabella, nella quale tutti i rovesci superiori a 2300 (a parte Jaziri e Nadal) sono monomani. Il problema del rovescio a una mano non è pertanto la sua assertività (una leva più lunga genera più spin e più velocità rispetto al punto d’impatto più vicino al corpo di un rovescio a due mani), quanto la sua praticità: infatti, la distanza del punto più impatto lo rende più problematico sulle palle alte (basti pensare alla diagonale sinistra che ha condannato Federer per anni contro Nadal), e soprattutto la necessità di sbracciare e di colpirlo di lato per farlo viaggiare al massimo lo limitano sulle superfici rapide, e nello scambio e in risposta – si potrebbe quasi dire che il suo limite sia proprio la poca versatilità e l’eccessiva macchinosità della sua potenza di fuoco, soprattutto per chi non ama giocare il rovescio tagliato. Qualcuno potrebbe obiettare: sì, però tre semifinalisti su quattro alle Finals sono stati monomani, senza considerare che altri hanno raggiunto traguardi importanti durante la stagione indoor, vedi Shapovalov, Dimitrov, e Wawrinka. Verissimo, ma innanzitutto alcuni (Federer, il bulgaro, e il canadese) hanno una rapidità di braccio tale da potersi adattare perfettamente a questo tipo di condizioni, che per questo motivo sono anzi le loro preferite, vista anche l’efficacia dello slice di Roger e del suo epigono; e in secondo luogo, Thiem e Tsitsipas hanno dovuto apportare dei grandi cambiamenti tecnici per avere successo sul veloce, imparando ad anticipare e appiattire il colpo per non perdere campo – basta guardare a quanti più giocatori con questo colpo fanno bene sulla terra rispetto all’erba, proprio perché il rosso facilita la botta da lontano in risposta e nello scambio, mentre i prati di SW19 risultano indigesti a chiunque non si chiami Roger, un altro chiaro ribaltamento di vecchie dicotomie. Vorremmo quindi concludere proprio su questa idea, e cioè che i numeri ci aiutano a mediare fra preconcetti e realtà dei fenomeni, ponendoci di fronte a considerazioni oggettive che di primo acchito potrebbero sembrare contro-intuitive. Il connubio contraccanti semi-piatti/rovescio a una mano (soprattutto in relazione alle superfici dove rendono al meglio) è la rappresentazione perfetta di questo concetto, perché se è vero che il topspin rate è solo un lato della medaglia, dall’altro questa è una statistica che potrebbe avere un ruolo nella formazione dei giovani tennisti, soprattutto alla luce di un gioco sempre più fondato sui punti rapidi (da zero a quattro colpi) e sulle soluzioni potenti, e che quindi potrebbe ampliare la forbice fra chi tira il colpo da KO diretto e chi tira quello d’incontro. Sarà questa la direzione del nostro sport? ...

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