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L’invidiabile incompiutezza di Tsitsipas: il volto di una generazione bella ma poco vincente-

L’eliminazione ai quarti di finale ad Acapulco non è altro che l’ennesima riprova di una tendenza ormai ampiamente confermata: da una stagione a questa parte, più passano i tornei e le settimane del calendario ATP, più il volto di Stefanos Tsitsipas provoca quella sensazione di aspettative irrimediabilmente disattese tipica di un’intera generazione di tennisti. La prima vera Next Gen, dopo il fallimento annunciato dei vari Nishikori, Raonic e, in misura più attenuata, Dimitrov che ancora combatte. Alti, capelli lunghi, tendenzialmente biondi, forti e vincenti fin da subito: Tsitsi, Shapo e Sasha sembravano perfetti per appassionare la Generazione Z al tennis e per dare il cambio ai Big Three. E invece, l’unico che si è davvero realizzato in questo mondo è stato il brutto anatroccolo Medvedev: anche lui alto, ma scapigliato, spesso nervoso e dotato di un tennis che non rubava (e non ruba) l’occhio, così come i suoi primissimi risultati.   A cavallo tra i Big Three e la New Next Gen: una generazione martoriata da un punto di vista psicologico Chi più, chi meno, i tre biondi sono stati psicologicamente calpestati dalla resistenza, dal carisma e dalla forza mentale proprio di quelli che dovevano mandare in pensione. Una batosta a cui è andato incontro lo stesso Daniil che per due anni è rimasto traumatizzato dalla rimonta subìta da Nadal in finale all’Australian Open. Proprio quando la ferita sembrava finalmente sul punto di rimarginarsi, è arrivato Sinner, simbolo insieme ad Alcaraz della Next Gen 2.0 che ha dato il colpo di grazia ai componenti della sua prima versione. Jannik e Carlos sono infatti riusciti in men che non si dica a fare quello che per i loro immediati predecessori – Medvedev a parte, per l’appunto – rimane e forse rimarrà un sogno, o meglio un incubo: vincere negli Slam. Ci sono anche e probabilmente soprattutto queste dinamiche storiche del tennis contemporaneo con le loro ricadute psicologiche nella crisi che sta vivendo Stefanos Tsitsipas. Sebbene Shapovalov sia nettamente dietro di lui nel ranking (attualmente n. 120), riteniamo che spetti al greco, in questo momento, il ruolo di miglior rappresentante di quell’invidiabile incompiutezza che è diventata la cifra dei giocatori nati negli ultimi anni del secolo scorso. Se da un lato, infatti, la posizione in classifica e la scarsità di risultati rilevanti di Shapovalov sono tutt’altro che invidiabili, dall’altro la parabola che sta seguendo Zverev fa pensare che le sue speranze di vincere uno Slam siano ancora vive. Complice il terribile infortunio alla caviglia subìto nella semifinale del Roland Garros del 2022, il suo atteggiamento sembra quello di chi vuole ribellarsi a un destino apparentemente scritto e riprendersi ciò che gli è stato tolto. Una nuova comfort zone L’ultimo Tsitsipas – quello che non gioca una finale di primo livello (Slam o 1000) dall’Australian Open del 2023 quando era numero 3 del mondo – pare invece essersi rassegnato. Ormai quasi a suo agio in una dimensione che rimane di eccellenza mondiale (si sta comunque parlando delle posizioni a cavallo della top 10) ma priva di legittime pretese di essere considerato tra i primi favoriti nei tornei più importanti. Per intenderci e senza voler mancare di rispetto a nessuno, è la stessa dimensione che da diversi anni costituisce la comfort zone di giocatori come Rublev e Hurkacz e in cui sembra essersi assestato Ruud dopo un 2022 probabilmente al di sopra delle sue reali possibilità. E poco importa che recentemente Stef abbia dichiarato che il suo obiettivo è vincere uno Slam in questa stagione. Per farlo, il greco dovrebbe invertire un trend che si sta sempre più stabilizzando e delle semplici dichiarazioni d’intenti non possono bastare. Servirebbe avere il coraggio di cambiare qualcosa. E in questi anni, Tsitsipas ha sempre dimostrato di non averlo. Il suo gioco è rimasto incredibilmente uguale a se stesso sia da un punto di vista tattico che nelle sue singole componenti: i progressi al servizio sono stati marginali e il rovescio è rimasto il suo tallone d’Achille nello scambio da fondo diventando anche bersaglio costante dei servizi avversari. Cos’è cambiato allora? In primis il fatto che i suoi rivali sappiano ormai a memoria come gioca e quindi come metterlo in difficoltà. I numeri della crisi Si spiega (anche) così la prima sconfitta contro De Minaur dopo averci vinto i primi dieci confronti nel circuito maggiore. Tra l’altro, è stata la quarta partita di Stefanos contro un top 20 in questa stagione: solo sconfitte (l’avversario meglio piazzato battuto dal greco nei primi due mesi del 2024 è stato il numero 39 Safiullin) che diventano sette consecutive considerando anche le tre con cui aveva chiuso il 2023. Se si restringe il discorso ai top 10, i numeri diventano addirittura più impressionanti e preoccupanti: dall’inizio della stagione 2023, Tsitsipas ne ha battuto solamente uno (Zverev a Bercy) su undici sfide. Per dare un peso a questo dato possiamo confrontarlo con quello del 2022 in cui l’ateniese aveva giocato 16 volte contro un top 10 vincendo nella metà delle occasioni (e delle otto sconfitte quattro erano arrivate contro Djokovic). Insomma, con questa involuzione di risultati l’uscita dalla top ten dopo 259 settimane passate al suo interno era inevitabile. L’incapacità di staccarsi da papà Apostolos Riprendendo altre dichiarazioni recenti di Tsitsipas, si può rintracciare un’altra possibile ragione della crisi di risultati del greco: “Quando [mio padre] non è con me, mi sento come se una parte della mia identità di giocatore andasse perduta. In diverse occasioni in passato non era con me e mi sentivo come fossi la metà del giocatore. A volte forse non gli parlo molto bene, ma è l’unica persona che mi capisce e questo fa parte del lavoro”. Parole che, se da un lato sono indice di un rapporto stretto e autentico in grado di andare oltre gli attriti e le urla in campo, dall’altro aumentano il sospetto che Stef sia fin troppo legato al padre e che in questo modo neghi a se stesso la possibilità di esplorare nuove strade a livello di gioco e preparazione (quello che invece ha fatto Sinner staccandosi dal suo padre putativo in termini tennistici Riccardo Piatti). Un vero e proprio cordone ombelicale, messo in discussione solo per brevi tratti – come nel mese di agosto in cui Philippoussis aveva ricoperto il ruolo di primo e unico allenatore – ma a cui l’attuale numero 12 del mondo è sempre tornato ad aggrapparsi. Che si tratti di paura di dover abbandonare le sue certezze? Del resto, non è facile farlo quando si è comunque nei pressi della top 10 mondiale: vale davvero la pena mettere a rischio un posto fisso del genere? Al momento è ragionevole immaginare che Stef pensi che non lo sia e per questo abbiamo parlato di rassegnazione e di comfort zone. Una personalità complessa e un’incompiutezza invidiabile A tal proposito sembra anche che il greco abbia smarrito quella fame di vittoria che a volte lo aveva anche reso inviso ai suoi colleghi per via di comportamenti border line in tema di toilet break e coaching. Le modifiche al regolamento hanno in un certo senso inibito la sua furbizia e adesso capita molto più di frequente trovarsi a constatare atteggiamenti piatti che spesso si traducono in incapacità di reagire alle difficoltà. La sensazione è che Tsitsipas non sia ancora riuscito a definire l’immagine di sé che vuole dare al mondo del tennis, oscillando tra la figura di bravo ragazzo dalla faccia pulita con cui si è presentato al circuito, un carattere spigoloso e le massime filosofiche pubblicate sui suoi canali social. A nemmeno 26 anni e un best ranking di numero 3 del mondo, Stef deve in tutti i modi provare a coltivare il pensiero che il meglio debba ancora venire. Le sconfitte nelle due finali Slam disputate – una persa da un vantaggio di 2-0, l’altra in cui non è mai stato vicino alla vittoria – sono state sicuramente mazzate non da poco, ma i mezzi a sua disposizione rimangono importanti. Il greco ha tutto: gioventù, talento, intelligenza, integrità fisica (non sono mancati dei piccoli contrattempi tra schiena, spalla e gomito negli ultimi anni ma niente a che vedere con gli infortuni che hanno prostrato Zverev o Thiem) e anche una bellissima relazione con la collega Paula Badosa. In un’era del tennis sempre più Slam-centrica, gli manca però la cosa più rilevante. In ogni caso, lo si può solo invidiare, che perseveri nella sua incompiutezza tennistica o meno. ...

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