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Tommy Paul, da ragazzo ribelle a stella americana dell’Australian Open: la storia-

È il primo semifinalista americano a Melbourne Park dopo Andy Roddick, dopo quasi 15 anni. Tommy Paul è il vero outsider del torneo maschile di questo Australian Open e, venerdì, affronterà Novak Djokovic per un posto in finale. A 25 anni, Tommy sta contribuendo a riscrivere una pagina della storia del tennis a stelle e strisce. Ma cosa sappiamo di questo ragazzo dallo sguardo buono originario del New Jersey? L’Equipe ne tesse un ritratto interessante che mostra come sia maturato Tommy negli ultimi anni, avendo ormai messo da parte un passato da teenager un po’ “sbandato” e un po’ troppo dedito all’alcol. Attuale n. 35 del mondo, pare che Paul, da giovanissimo, non sia sempre stato facile da gestire. Il quotidiano d’Oltralpe racconta di quella volta che, nel 2017, alla vigilia del primo turno di doppio allo US Open, insieme a Johnson, e contro la coppia Fognini-Bolelli, Tommy si sarebbe trattenuto a bere fino alle quattro del mattino, annegando nella birra la delusione di una sconfitta alle qualificazioni. Rientrato in albergo ubriaco, il mattino seguente non avrebbe sentito la sveglia. Il suo coach, a forza di insistere al telefono, riesce a far sì che si alzi e che si diriga al torneo in taxi. Giunto in campo all’ultimo minuto, Tommy non ha il tempo di fare riscaldamento e, barcollando, comincia il match. Risultato, Fognini e Bolelli rifilano alla coppia Paul-Johnson un doppio 6-0 dopo che, a quanto pare, Tommy non sia riuscito a colpire palla. Cinque anni fa, la Federazione americana non lo considerava un giovane su cui puntare, a differenza di Tiafoe, Fritz e Opelka. L’episodio della nottata al pub non veniva più evocato ma Tommy era stato invitato a seguire un programma per i giovani troppo “sensibili” all’alcol. Il suo attuale coach, Brad Stine racconta come all’idea della scarsa professionalità di Paul fosse da addebitare il rifiuto, da parte dell’USTA, di concedergli una wild card allo US Open nel 2019: “Non è vero“, spiega Stine, “Durante il torneo di Atlanta, l’indomani della sconfitta, aveva appuntamento con un preparatore atletico della federazione, che ha bussato alla sua porta prima dell’allenamento. Tommy non ha risposto perché quando dorme è come un orso in letargo. Il preparatore fisico ha dunque fatto un rapporto dicendo che Tommy era ubriaco, invece semplicemente non aveva sentito che stavano bussando alla porta”. Da quel momento, l’USTA non gli ha più creduto più. Niente più coach, né borsa di studio, né wild card. Nell’edizione degli US Open prima della pandemia, Tommy perde al secondo turno delle qualificazioni. Coach Stine, all’epoca allenatore di Anderson (infortunato in quel periodo), gli scrive un messaggio di incoraggiamento. Da allora lavorano insieme. “Tommy non è un ragazzo chiuso“, spiega ancora Brad a L’Equipe, “non teme di esprimere le proprie opinioni e assumersene le responsabilità, anche quando commette degli errori. Gli piace bere una birra ogni tanto ma è un ragazzo estremamente serio e si impegna molto nel suo lavoro. Ha lavorato duramente come nessun altro dal punto di vista fisico e oggi è tra i primi 15-20 migliori atleti del circuito“. In conferenza stampa, Paul glissa sui suoi “peccati” di gioventù, ma ammette che “certo, ho imparato da quello che è successo in passato, questo fa di me il giocatore che sono oggi“. E pare che il racconto della sua folle notte del 2017 verrà raccontata davanti alle telecamere di Netflix, nella seconda stagione di Break Point… ...

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